Sarà successo sicuramente anche ad alcuni di voi. Avere la viva impressione di trasferire i propri pensieri e sensazioni nella mente di un interlocutore, oppure, nella direzione opposta, “leggere” le emozioni altrui senza fare ricorso a nessuno tra i veicoli sensoriali comunemente assunti. Sesto senso, telepatia, non rischiassimo di essere tacciati facilmente di autosuggestione e letteratura di basso rango. Eppure, se accettassimo per un attimo l’esistenza del paranormale, l’assurdo potrebbe anche tramutarsi in rivelazione: e se fosse davvero così? Se l’uomo avesse perduto tra i ricorsi storici un’ulteriore, preziosa facoltà comunicativa, atrofizzata dal prevalere di altri canali (la vista, l’udito)?
Nell’euforia psicanalitica, la scienza tentò a suo tempo di metterci qualche toppa, col risultato di non arrivare a nessuna conclusione condivisa. Incluso il più recente e celebre Ganzfeld experiment, tuttora circondato da un’aura di leggenda e romanticismo.
Anni Duemila, con la solita attitudine tra il serio e il faceto, il mito e la speranza rivivono in due para-psicologi d’eccezione, Drew Daniel e Martin Schmidt. Il duo di San Francisco ha radunato una corposa truppa di amici e conoscenti e li ha sottoposti alla prova Ganzfeld, privati però della vista e costretti ad ascoltare rumore bianco. Durante la seduta infine Daniel – fresco di cattedra universitaria – trasmette nella mente dei volontari il “concetto dietro il nuovo album dei Matmos”, mentre Schmidt trascriveva le immagini sensoriali riportate da ciascun paziente. La rinomata visionarietà dei due ha consentito quindi di trasformare i risultati dell’operazione in piece musicali, convertendo le visioni e gli input sonori registrati in arrangiamenti e le azioni descritte in pantomime da cui carpire field recordings.
Discograficamente parlando, “The Marriage Of True Minds” si presenta come il primo album dei Matmos in cinque anni (se si esclude lo split con So Percussion) e, tralasciando il sostrato concettuale, anche come l’opera più “pop” ed eterogenea ad oggi consegnata.
Battiti e spoken word ammiccanti, synth, luridume concreto e chitarre black-metal convivono infatti allegramente in questo matrimonio di menti oblique, tentando, in ultima analisi, anche di tracciare una linea nell’ormai sostanzioso percorso artistico del duo.
L’intro di “You” è già schizofrenia, cucendo attorno a un verso dell’eroticissima Leslie Winer un morbido beat minimal in mutazione e ricami pianistici che tradiscono un background jazz e cinematografico, oltre, si dà ormai per assunto, quei rumori processati che hanno costituito il riconoscibile marchio Matmos negli ultimi lustri.
Ma non è che l’inizio: “Mental Radio” imbastisce infatti una jungle per percussioni latine, acqua (!), sirene e sax, “Tunnel” marcia con palpitazioni techno ansiogene alla volta di fosche immagini psichiche (“There’s a light at the end of the tunnel/ but it isn’t daylight”) sbugiardate in coda da un colpo di tosse, mentre “In Search Of A Lost Faculty” solleva il potenziale poetico del disco in un collage di visioni e arrangiamenti organici (cui collaborano Ashot Sarkissjan e Codagh Simonds) che strizzano l’occhio agli arpeggi dell’indimenticato “Civil War”.
Brevi saggi di lucida follia, per i due, alla ventesima primavera anche come coppia nel privato. Ma la rinomata propensione per numeri più puliti e (relativamente) ordinati non è comunque venuta meno: al contrario, luccica quanto e più del solito. “Teen Paranormal Romance” è una giostrina glitch-electro da far invidia al miglior Kieran Hebden, “Aesthetic Vehicle” si scioglie suggestiva tra bacchette cinesi e un lento groove sintetico che simula un’aria etiope, con la ciliegina finale di “ESP”, che si apre su uno sbraito dei Buzzcocks per deformarsi e rigirarsi in un tema folk-rock appiccicaticcio. Sarebbe il coronamento dell’inammissibile, se ci trovassimo in uno stato di linda innocenza e non in coda ai cinquanta minuti di un album assurdo per programma.
È con una solennità un po’ gotica un po’ caciarona, infine, che “Very Large Green Triangles” svela il trait d’union delle nove composizioni, quel triangolo che scandisce sinistro l’intero lavoro. Revisionando i risultati dell’improbabile esperimento, Daniel e Schmidt si sono accorti infatti di come un numero sorprendentemente alto di soggetti avesse fatto esperienza, durante le sedute, di triangoli equilateri associati a colori, contesti e azioni diverse. È la prova dell’esistenza di un altro senso dimenticato? La domanda rimane aperta, Daniel del resto ha deciso di non rivelare il fantomatico “concetto dietro il nuovo album dei Matmos” e di rimetterlo nelle mani degli ascoltatori.
Poco importa, in definitiva. La sostanza dei Matmos è questa, lanciare indizi, stimolare intuito e fantasia, eludendo ogni tentazione pedante o eccessivamente seriosa. “The Marriage Of True Minds” ribadisce il credo a questa filosofia, con raffinatezza, olio di gomito e una buona dose di umorismo noir. Bentornati.
07/02/2013