Saltiamo le introduzioni e arriviamo subito al dunque: Paletti ha fatto un ottimo disco di pop italiano. Melodie brillanti; timbro vocale fermo, sicuro e sufficientemente duttile; testi perfettamente a fuoco e coinvolgenti sia come linguaggio che dal punto di vista delle tematiche trattate; un ampio ventaglio di soluzioni stilistiche che messe insieme acquisiscono un valore aggiunto e non sembrano ognuna slegata dalle altre; la capacità di esplorare diversi territori secondo un proprio punto di vista e non scimmiottando altri artisti che vi si sono avventurati in precedenza.
I diversi nuclei sonori fondanti di ogni singolo brano hanno quasi tutti in comune la ricerca di un equilibrio tra chitarre e tastiere ma, come si diceva, l’impronta stilistica non è praticamente mai la stessa. Inoltre, va riconosciuta anche un’intelligente strutturazione della tracklist, con ogni episodio che trova un collegamento logico con il precedente e il successivo. L’unico passaggio in cui ciò non avviene è tra l’iniziale “Cambiamento”, che richiama alla mente gli anni Ottanta più colti e ha il testo che più degli altri guarda all’universale e non al personale, e la successiva “Portami Via”, che strizza l’occhio pesantemente al dub e inaugura la serie di descrizioni di situazioni e stati d’animo vissuti in prima persona dall’autore.
“Senza Volersi Bene” si collega alla precedente proprio dal punto di vista delle sensazioni espresse, cercando leggerezza e disincanto ma lasciando trasparire un leggero disagio sottopelle, disagio che invece emerge in “Mi Sono Scordato Di Me”, dalla strofa aggressiva nel suono, nel timbro vocale e nel testo e dal ritornello in cui invece c’è il tentativo di tranquillizzarsi. Proprio partendo da questo ritornello, la seconda metà del disco è decisamente più intimista e lascia da parte ogni aggressività: con “Angelina” la proposta di Paletti torna a colorarsi di dub ma con un’intensità minore, mescolando questa influenza con la tradizione cantautorale italiana e sfociando abilmente in “I Ricordi” in cui quest’ultima prende il sopravvento. Anche “Le Foglie” ha un approccio più cantautorale ma il suono è decisamente più pieno e articolato. Si chiude con “Fantasmi”, in cui l’introspezione la fa da padrona, anche qui sotto l’aspetto sia del suono, che del timbro vocale, che del testo.
Tutte le canzoni, nessuna esclusa, mostrano i pregi specificati sopra e vanno a formare un disco di alto livello e questo vale qualunque sia la prospettiva sotto la quale si volesse decidere di analizzarlo. Già l’Ep dell’anno scorso era molto promettente, ma con queste otto canzoni, Paletti mostra di non aver nulla da invidiare a nessuno nell’attuale macro-ambito del pop italiano.
27/03/2013