Cosa mai potranno avere in comune Stephen Malkmus e i Can? Il primo, cantante e chitarrista, ha basato gran parte del suo successo sulla carriera intrapresa con i Pavement, una delle più importanti band indie lo-fi statunitensi degli anni Novanta, per poi scegliere la strada solista (accompagnato dai Jicks) dopo le parentesi con Crust Brothers e Silver Jews.
I secondi avrebbero ancor meno bisogno di presentazioni. Formatasi nel lontanissimo 1968, la band tedesca è probabilmente la più importante formazione kraut-rock mai esistita, colei che ha spinto quel genere misto di progressive, new wave, post-rock, ambient verso il suo apice massimo, grazie a un insuperabile trittico “Tago Mago” (1971), “Ege Bamyasi” (1972) e “Future Days” (1973).
Effettivamente sembra non esserci nulla in comune tra quel pezzo di storia moderna dell’indie chiamato SM e la leggenda Can, se non, evidentemente, la passione dell’artista di Santa Monica per i tedeschi, ammessa dallo stesso quando ha dichiarato di aver passato ogni sera ad ascoltare "Ege Bamyasi" per tre anni, dopo averlo scoperto. L’occasione per rendere manifesta questa predilezione e rendere loro omaggio arriva con il quarantennale del quarto full length, proprio “Ege Bamyasi”, uscito sul finire del 1972. Stephen Malkmus partecipa al Week-End Fest (Record Store Day) tenutosi dal 30 novembre al 2 dicembre 2012 a Colonia (città natale dei Can). Con lui altri nomi importanti come Scritti Politti, Deerhoof e Die Goldenen Zitronen.
Durante quell’avvenimento, ad accompagnarlo ci saranno i Von Spar, band kraut-rock del terzo millennio che avrà il non facile compito di fare da legante tra la musica della band di Michael Karoli e l’attitudine indie di SM (com’è solito essere chiamato Malkmus). Durante la manifestazione, il batterista dei Can, Jaki Liebezeit e il tastierista Irmin Schmidt incontreranno l’ex-leader dei Pavement e la cosa suonerà come una sorta di benedizione per l’esecuzione di quella sera di qualche mese fa e per la successiva e conseguente realizzazione di quest’album.
Partiti da questa lunga premessa, sembra impossibile parlare male di un disco come “Can's Ege Bamyasi Played By Stephen Malkmus And Friends”. In realtà non lo farò. Almeno non totalmente. Ho una certa repulsione verso le cover, se non riescono a proporsi come delle geniali reinterpretazioni. Non riesco a capire il senso artistico di realizzare la copia, anche se non esatta, di qualcosa che quasi chiunque preferirebbe ascoltare nella sua versione originale.
Riesco ancora a comprendere il senso di esibire questi tributi nelle performance live, ma non riesco proprio a capire perché farne un disco. Il lavoro di Malkmus si piazza a metà strada. Il disco “Ege Bamyasi” è proposto dalla prima all’ultima traccia, da “Pinch” a “Spoon”, seguendo un ordine diverso, mantenendo intatte le atmosfere cosmiche create dall’originale, ma ripulendolo delle esasperazioni sperimentali e dando un’impronta più attuale, moderna e immediata senza scadere nella demistificazione dell’oggetto di culto.
Tutte le variazioni apportate da Malkmus e dalla band che lo accompagna, però, non hanno nessun valore artistico, come rivisitazione soggettiva dell’opera. Trattandosi di un “gesto” volto a celebrare un mito per i suoi quarant’anni, con cautela non ci si discosta troppo dall’originale, un po’ per difesa e forse timore di un pubblico chiaramente, per i motivi detti in precedenza, molto legato alla band concittadina, ma anche perché lo stesso esecutore, avendo un legame cosi stretto con l’opera, non deve aver sentito la necessità di modificarne tanto la struttura fino a renderla qualcosa di nuovo.
Il difetto di “Can's Ege Bamyasi Played By Stephen Malkmus And Friends” ne è dunque anche il suo punto di forza. Non è una rivisitazione, una parafrasi estrosa, non è la creazione di una nuova opera nata dalle solide fondamenta di una pietra miliare. È un tributo e come ogni tributo non può che essere ossequioso e moderato. Come si diceva, però, proprio il suo essere tributo lo pone come qualcosa che merita comunque rispetto e considerazione (ammetto di essere anch’io affascinato dai Can) e cosi, quanto fatto da Malkmus, avrà certamente il merito di riportare il nome dei Can all’attenzione dei tanti che, magari presi dal vortice della bulimia musicale, li avevano un po’ messi da parte.
Avrà il merito di spingere alcuni a prendere o riprendere tra le mani quel capolavoro sperimentale ma anche pieno di classicismi da hit che è "Ege Bamyasi", proprio dopo averne apprezzato le rielaborazioni di questo live di SM. Avrà anche il merito di avvicinare i più giovani, i giovanissimi ventenni, sia alla musica del suddetto e della sua fantastica creatura a bassa fedeltà chiamata Pavement e sia alle avanguardie cosmiche dei Can d’inizio anni Settanta.
Forse, se ci penso meglio, quest’ultimo punto è un po’ troppo ottimista perché la verità è che “Can's Ege Bamyasi Played By Stephen Malkmus And Friends” (distribuito in vinile verde in sole 3500 copie, cosa che la dice lunga su quanto sia una prelibatezza per pochi, più che un progetto commerciale) sarà amato o odiato, in generale ascoltato, solo dai meri amanti dello statunitense Stephen o dei mostri sacri Can.
Dentro questa conclusione potete trovare la risposta in anticipo alla vostra domanda: “E la musica?”. Se la risposta non la trovate, non vi resta che ascoltare.
17/05/2013