Il fatto è che quando mi si parla di Tim Hecker divento stupido. Stupido come potrebbe esserlo un bambino a Natale. Anzi, forse proprio scemo. Perché mi è difficile, tremendamente difficile, scindere tutto quello che mi lega a lui, alla sua musica, ai suoi concerti. Quei droni che ha sempre sparato al cielo e che si muovevano come si muove l'universo in espansione. A macchia d'olio, in maniera uniforme e a velocità regolare. Quelle abrasioni di "In The Fog", quei voli allucinanti. E i rombi che si facevano strada, quelle tempeste di suono. Insomma, Hecker è uno che non ha sbagliato nulla e al quale ci si vergogna quasi di dover mettere il voto. Però di "Virgins" bisogna parlare e tenterò quindi di fornire "la mia storia del disco" al lettore.
Tutti i suoi lavori sono diversi, ma questo un po' di più. Che con "Ravedeath, 1972" ci fosse rimasto sotto con chiese/organi s'era capito. Lì però c'era un senso di cattiveria e inquietudine. Che qui scompare quasi totalmente. Il canadese, con "Virgins", titolo più che mai significativo, spazza via tutto, si allontana dalla sua forma tradizionale per approdare a una, è il caso di dirlo, (neo)classica. Non vi spaventate, ci sono i droni, però Hecker vira il respiro dell'album verso coordinate più vicine a Nils Frahm che ai Sunn O))).
Ci sono i clavicembali, c'è il piano che mai come in questo album è protagonista. "Virginal I" o "Black Refraction" (questo forse l'unico episodio meno riuscito, più per il suo sembrare troppo azzardato che brutto) vivono nel pianoforte, quelle microvariazioni che danno il senso del fluire.
La prima metà dell'album pare quasi segua il flusso del suo predecessore, in una sorta di liaison. "Prism" sono tre minuti a immagine e somiglianza del titolo, giochi di grigie rifrazioni, "Live Room" spariglia vetri rotti, pianoforte e noise-drone latente, in un marasma di contrasti deflagrante.
A segnare lo stacco, però ,è "Virginal I", sontuoso loop in crescendo che si abbandona totalmente a un caos controllatissimo.
Poi ecco il pianoforte in "Black Refrection" e l'atmosfera che vira su coordinate più in linea con le produzioni di gruppi tipo Library Tapes, Sylvain Chauveau o Peter Broderick. Scompaiono la cattiveria, i moti harsh, lasciando spazio alle delicatissime nebbie di "Amps, Drugs, Harmonium". E né "Stigmata I", né il suo contraltare "Stigmata II", costruite diametralmente su vibrazioni sconnesse, andirivieni e stop & go, vanno a insidiare le mura di un album delizioso che chiude la sua parabola con "Stab Variation", stupefacente quadretto gotico per drone industriali.
Evaso dalla sua forma classica (quale poi, sarebbe da chiedersi), "Virgins" è la seconda vita di Hecker. Si ripulisce totalmente, immerge i suoi droni nell'acqua santa e ottiene output immacolati. Tenta la carta del minimalismo, della de-strutturazione delle sue saturazioni e alle forme quasi dronegaze del passato ne sostituisce i perfetti contraltari per pianoforte. E, ancora una volta, non ce la fa a deludere. Con "Virgins" entra di diritto tra i più grandi di sempre. Come se ci fosse ancora bisogno di sottolinearlo.
22/10/2013