E' proprio grazie all'amicizia con Stanko che Virelles è potuto approdare alla Ecm, dando alle stampe il suo nuovo lavoro, "Mboko" (sottotitolato come "musica sacra per pianoforte, due contrabbassi, batteria e percussioni assortite"), che segue di due anni il già valido "Continuum" (Pi Recordings 2012) e di sette il primo "Motion" (Justin Time 2007), che però non fa testo. Questo nuovo album amplia, se possibile, i già ampi orizzonti stilistici di Virelles, che si dimostra un pianista solo in minima parte attaccato alle sue origini musicali cubane. Le sue radici affondano invece in una colta e raffinata musica da camera dodecafonica e anche quando l'artista si ricorda della sua terra di provenienza, lo fa con uno stile assai poco tradizionale.
"Mboko" si potrebbe dividere in due parti: da un lato c'è la ricerca di moduli nuovi, con dei pezzi rarefatti, suonati in pianissimo e in staccato, con pochi e lentissimi accordi ("Wind Rose", "The Scribe", "The Highest One"), dall'altra, invece, si assiste a una rilettura originale dell'hard-bop ("Biankoméko", "Antillais", "Stories Waiting To Be Told"). Anche laddove si fa ricorso a ritmi e armonie sudamericane, come in "Aberinan y Aberisun", lo si fa tralasciando ogni stereotipo possibile. Il nostro Stefano Bollani avrebbe molto da imparare da David Virelles, in questo senso. Il brano più free del disco è senz'altro "Transmission", con i suoi cluster atonali di pianoforte, che furono assai cari a Cecil Taylor.
La scrittura musicale risulta in ogni caso assai fluida e scorrevole, seppur piena di contrasti e chiaroscuri. Curioso è l'utilizzo di un particolare set di percussioni, denominato "biankoméko", che dona un effetto peculiare ai brani più sperimentali, dove la batteria non viene mai adoperata. A livello puramente pianistico, l'antecedente più probabile per descrivere lo stile di Virelles è forse quello di Muhal Richard Abrams. Senza ombra di dubbio, questo è uno dei migliori dischi jazz usciti quest'anno. Se ne raccomanda l'acquisto.
(12/11/2014)