Dopo aver preso parte a Storming e al duo acustico dei Cinnamomo, la cantautrice genovese Cristina Nicoletta debutta in proprio con “Daimones”, Ep multimediale, in buona sostanza un’espansione del concetto di booklet, che qui diventa raccolta di dipinti a tecnica mista (olio, pastelli, collage concettuali in stile Ketty LaRocca) che accompagnano le canzoni. La parte musicale, perlopiù acustica, mette in luce il suo contralto Mia Martini-esco, fiero ma sempre in bilico sulla disperazione.
Quando Cristina raccoglie questa multidisciplinarietà in un unico atto, il primo disco lungo “Mandibole”, ne esce un requiem per i tempi coevi che parte dalla dimensione più privata. Non solo mostra padronanza nello scegliere, con la medesima classe, forma-canzone classica o ardita canzone libera, ma adotta - pur in modo un po’ frenato e compassato - anche una composizione creativa.
“Le creature degli abissi”, recitativo monteverdiano, è l’ouverture, o meglio una presentazione d’opera e di personalità artistica, con accompagnamento discretamente free-form e una voragine di strilli soul. “L’inopportuna” è il contrario, un frenetico ma granitico drum’n’bass con la voce a flusso di coscienza che scandaglia diversi registri.
“Cocoprosit” appiana questa schizofrenia in registri fragili ma severi, e in una ballata che a tratti suona drammatica come un’aria d’opera. Anche quando si lascia andare a una più semplice veemenza d’impeccabile performer rock (Patti Smith), come in “Metereopatia”, Cristina non rinuncia ai j’accuse drammaturgici e alle drammatiche dissertazioni esistenziali, confezionate in giochi poetici persino dadaisti di tutto punto.
“Giorno dopo giorno” è il momento del refrain cantabile in rima, ma anche qui la facilità è scongiurata da un accompagnamento ricercato e al contempo tragicomico, colto tra avanspettacolo e barocchismi. “La litania dei pesci” è una nuova schizofrenia, stavolta tutta Nick Cave-iana, e un altro apice dell’album, uno strappo violento tra murder ballad fatata ma tenebrosa e un saltarello mediterraneo con un motto corale che si frange in flutti di cacofonia. E “Mandibole” è un’altra genialità, una dicotomia appena più piana tra tristezza sconsolata e un’alta invocazione di sofferenza pubblica.
Cristina non è una musa del rock italiano ma una sua creatura poetica. Forte di un’innata passione, che non ha mai paura di mostrarsi nuda e persino particolareggiata, ha cavato un montaliano concept “marino”. Le profondità abissali sono una metafora di uno spaventoso dubbio di vita, non identificato appieno e irrisolto forse, ma espresso con un’implacabile grazia e una gentile furia. Infallibili i contributi di Federico Bonelli e del tuttofare Tristan Martinelli. Cover: “Mother Stands For Comfort” (Kate Bush).
23/01/2015