“Lateness Of Dancers” sembra, dalle premesse, una naturale prosecuzione del suo lavoro: i collaboratori sono gli stessi, il fido polistrumentista Scott Hirsch e il sodale chitarrista e compositore William Tyler. E lo è anche, poi, nella sua effettiva riuscita, un nuovo compendio del country profondamente espressivo e a tinte soul del cantautore americano.
Allo stesso tempo, si tratta forse dell’album meno affascinante e spirituale di Taylor, sempre raffinato nel groove Fleetwood Mac di “Mahogany Dread” e negli arrangiamenti squillanti della solare e anni 70 “Saturday Song” (gradevole e sensibile l’apporto di Tyler nelle parti di chitarra acustica), ma un po’ più disposto a edulcorare in un placido country “per palati fini” la sua proposta (“Lucia”, “Day O Day (A Love So Free)”).
Così anche i brani più tormentati vengono contrappuntati da soluzioni scontate, come le seconde voci femminili nella title track.
Insomma, quello che esce da “Lateness Of Dancers” è un Hiss Golden Messenger ricercato menestrello country, più che dissimulato ricercatore interiore, come in “Poor Moon” e “Haw”. La sua identità musicale sembra intatta, forse in un’ancora più smagliante forma sonora, ma qualcosa di più profondo sembra spento.
(11/09/2014)