Probabilmente qualche lettore che abbia almeno 30 anni ricorda i singoli degli svedesi Kent, almeno “If You Were Here” e “Music Non Stop”, che tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei cosiddetti Zero avevano ricevuto un buon airplay su Mtv e sulle stazioni radio locali di musica alternativa. Forse, alcuni di questi lettori avevano a tal punto apprezzato le canzoni da comprarsi i relativi album in cui erano incluse. Quei due dischi, “Isola” e “Hagnesta Hill”, non erano altro che rifacimenti in inglese di dischi già realizzati e pubblicati in svedese e rappresentavano il tentativo da parte della band di farsi conoscere ovunque fosse possibile, dopo aver raggiunto la popolarità in tutta la Scandinavia con i due lavori precedenti.
Il tentativo non venne proseguito con i dischi successivi, quindi i Kent tornarono a pubblicare musica cantata solo nella propria lingua e, a questo punto, c’è una buona probabilità che in molti tra i non scandinavi che li avevano seguiti si siano fatti scoraggiare dalla barriera linguistica e/o dall’impossibilità di reperire i dischi fuori dalla Scandinavia stessa. La band, comunque, ha continuato a fare un disco ogni due – tre anni, vendendo sempre tantissimo e radunando sempre una gran quantità di gente ai propri concerti.
Con questo “Tigerdrottningen”, che significa “La Regina Tigre”, i Kent giungono oggi all’undicesimo album in studio (tenete conto che i citati dischi rifatti in inglese erano il terzo e il quarto) e, come molte band dalla carriera così lunga, hanno nel frattempo subito diversi cambi di line-up e di direzione artistica. Da diversi anni, i Kent non si limitano più all’utilizzo dei classici elementi rock con sparuti interventi di tastiera, ma hanno aggiunto tantissimi synth al proprio suono. Questa novità è servita alla band non per seguire una tendenza o per modernizzare tout court il suono stesso, bensì per effettuare una ricerca musicale molto più accurata di prima nella realizzazione delle canzoni. Tale ricerca, in realtà, non gode dello stesso livello di approfondimento a ogni disco, però questo è il lavoro, assieme a “Rod” (2009) nel quale i Kent si sono impegnati di più nella sperimentazione di nuove soluzioni in termini di arrangiamenti e anche, seppur in misura minore, nella composizione stessa delle canzoni.
Il suono è quindi molto vario sotto ogni punto di vista: potenza, intensità, saturazione, complessità. Ogni canzone si differenzia dall'altra sotto questi aspetti e il ventaglio è molto ampio anche dal punto di vista ritmico. Inoltre, una novità assoluta per la band è quella di lanciarsi anche nell’utilizzo di voci femminili, per creare armonie vocali con quella del leader Joakim Berg, oppure costruendo veri e propri duetti. Anche qui, l’intonazione della voci non è mai la stessa e si passa da momenti con potenti cori ad altri molto più delicati.
Per quanto riguarda il songwriting, i Kent normalmente svariano tra brani molto aderenti alla forma-canzone e dal minutaggio standard ad altri decisamente più lunghi e dallo sviluppo più ampio e arioso. Di solito questi ultimi sono ballate epiche poste in chiusura dei dischi e anche qui l’ultimo brano può essere inserito in questa categoria. Però in questo lavoro c’è decisamente di più rispetto al suddetto binomio. Il singolo “La Belle Epoque”, ad esempio, ha la particolarità di puntare tutto sulle strofe, mentre il ritornello è decisamente minimale; “Allt Har Sin Tid”, invece, è un susseguirsi di diverse linee melodiche, senza strofe e ritornelli ma con un continuo variare che per oltre cinque minuti porta l’ascoltatore in un vero e proprio ottovolante di melodie, oltre che di tempi ritmici, voci e suoni.
La citata “Allt Har Sin Tid” è sicuramente il vertice qualitativo di tutto il disco, per come sa emozionare partendo lenta e quadrata, sfociando in una cavalcata prorompente, ma tutte le canzoni sono di un livello sempre e comunque alto. L’iniziale “Mirage” ha tutto per essere una di quelle hit da dancefloor capace di risultare irresistibile non solo per la sua immediatezza, ma anche per la bellezza della melodia, la particolare espressività del canto e un suono efficace ma non ruffiano; l’altro singolo “Var Är Vi Nu” è tanto morbido quanto consistente, avvolge l’ascoltatore e lo coccola con tenerezza e calore ma anche con fermezza; “Godhet” è mirabile nel suo passare da una strofa parimenti morbida ma molto più essenziale e allo stesso tempo vitale a un ritornello ben più intenso e travolgente, con un ruolo importante giocato dal magistrale duetto vocale tra Berg e Beatrice Elli degli Elliphant; la conclusiva “Den Andra Sidan” non può non trascinare grazie soprattutto a saliscendi di intensità sempre azzeccati e che amplificano la potenza delle vibrazioni emotive del brano.
Per un ascoltatore italiano, il cantato in una lingua così particolare alla quale non si è abituati potrebbe rappresentare una barriera difficilmente sormontabile, ma il consiglio è quello di cogliere tutto ciò che di buono c’è in questo disco, così come negli altri dei Kent, una band che dopo circa vent’anni costellati solo da successi fa di tutto per mostrare di non sentirsi affatto arrivata: la voglia di sperimentare nuove idee è più viva che mai, l’ispirazione compositiva pure, e c’è un leader che canta ancora con la convinzione e l’emotività di un ragazzino. Una grande band che con questo disco ha realizzato uno dei suoi lavori più riusciti, tra le migliori uscite di quest’anno.
17/08/2014