Associati alla scena black-metal sperimentale dopo la pubblicazione dell’autoprodotto “Mainlining the Lugubrious”, i Murmur sono, in realtà, una vera e propria anomalia sonora. Lo dimostra questo secondo lavoro, in cui la band di Chicago approfondisce con maggior convinzione le proprie inclinazioni avant-prog, jazz, math-rock e finanche psichedeliche.
Da questo punto di vista, allora, più che “Water From Water” (che procede da una misteriosa prima parte acustica verso un surreale baccanale black-metal), è “Bull Of Crete” il primo manifesto del nuovo corso, pregna di triangolazioni dissonanti, stasi interrogative e dissertazioni umorali che giocano sull’intreccio di minimalismi chitarristici e batterismo vorticoso (la performance di Charlie Werber merita una doverosa segnalazione!), squarci di brado fervore metallico e bridge strumentali tanto intellettuali quanto gelidi nel loro prodursi sibillino.
I King Crimson dei primi anni Ottanta tornano più volte alla mente (anche per il timbro vocale di Matthias Vogels, qui molto simile a quello di Adrian Belew), ma non si può certo non rilevare l’intreccio audace tra le cervellotiche elucubrazioni dei Ved Buens Ende (il black-metal come pretesto per avventurarsi in pieno territorio jazz-progressivo) e la fusion austera e misteriosa dei Magma.
“Al-Malik” è un altro grande esempio di vis drammatica. All’inizio, gli strappi striduli delle chitarre e un senso di complessiva geometrizzazione del caos lasciano presagire un assalto all’arma bianca, salvo poi confondere questa intuizione con la lenta costruzione di una fanfara marziale che, anche attraverso un matematico scambio in stile “Larks’ Tongues In Aspic, Pt. 2” (la cui cover compare come bonus track nella prima stampa in cd), sfocia in un frenetico accelerando. E’ da questo brano in poi che l’uso dei sintetizzatori inizia a farsi più consistente, aggiungendo dosi importanti di sfumature spaziali.
A tagliare idealmente il disco in due parti, ci pensa l’introspettivo interludio di “Recuerdos” (per chitarra classica, piano elettrico Fender Rhodes e svolazzi sintetici), quasi un flamenco visionario in bilico tra l'anima più bucolica dei Pink Floyd e quella più elegiaca dei primissimi Weather Report.
Le partiture più convulse e caotiche sono probabilmente quelle delle due parti di “Zeta II Reticuli”, dove la matrice Zeuhl è più che manifesta, soprattutto nella valpurgica tensione dell’insieme e nel ricorso ad una coralità ossessiva (il “Kommandoh” di Christian Vander è vivo e lotta insieme a noi!). Senza soluzione di continuità, il disco stempera infine la sua carica adrenalinica con l'ostinato stordente e disorientante di “King In Yellow” e con il crescendo solennemente assordante di “When Blood Leaves”.
Davvero una bella sorpresa!
04/02/2014