"Oksastus" viene a ricordarci che, allo stato attuale, i Pan Sonic non esistono più. Già quattro anni dall'annuncio dello iato, preceduto soltanto dal terrorismo sottocutaneo di "Gravitoni", il crepuscolo nero pece degli dèi, ultimo lascito in studio come duo. Mika Vainio prosegue a vagare per infinite strade, dalla chimica molecolare ("Fe₃O₄ - Magnetite") all'ingegneria meccanica ("Kilo") in solitaria, e nel noise più opprimente tra colleghi (di recente con Joachim Nordwall ma non solo); gli interventi di Ilpo Väisänen sono invece fermi a "26000" col progetto Angel, nel 2011.
Sulla carta "Oksastus" è una testimonianza live di cinque anni fa – a Kiev, Ucraina – ma non sentirete un solo fiato dei suoi artefici o del pubblico. A ricordarci che, nel corso del tempo, i Pan(a)sonic hanno lavorato in una direzione che nemmeno certe avanguardie oltranziste si sognano di esplorare: liberarsi dell'elemento umano, comunicare col linguaggio di entità non senzienti. Quindici anni d'attività per imparare a non fare musica, celando sotto uno strato di beat minimali una voragine di horror vacui mai più richiusa. È ciò cui puntava, per certi versi, la macchina da guerra dei Uochi Toki, ma che nel caos continuava ad aggrapparsi agli ultimi stralci di coscienza col dono della favella; le manipolazioni sonore del duo finlandese, invece, suonano più che mai come un defibrillatore applicato a un corpo morto, esalazioni rumoriste che ripiombano sempre nel silenzio più asettico e totale.
È la guerra fredda in una stanza anecoica: abolita la ragione restano elementi acustici non identificati, dal peso specifico schiacciante. Dare le sole indicazioni di tempo, come da tradizione free-impro, significa incidere su supporto fisico l'inafferrabile: i Pan Sonic sfuggono all'esecuzione di brani esistenti rimescolando tutto ciò che sono e hanno prodotto in un magma già raffreddato e prossimo all'autodistruzione; in 4'35'' il suono si sfalda, entra in un rombante corto circuito per incanalarsi, infine, in pitch dalle altezze insostenibili.
Smetterete ben presto di agitare le gambe, quando 17'28" vi ghermirà con un fascino morboso e inspiegabile, in oltre dieci minuti di assalto sconsiderato al sistema nervoso, seguiti da una non più rassicurante pulsazione techno. È il polo negativo di “Exai”, quadratico ritorno in scena dei fuoriclasse Autechre, cui la marca finlandese risponde col più radicale nichilismo. È il suono in forma di virus (e viceversa), secondo l'estetica delle derive allucinanti di Fausto Romitelli.
Non esiste una stagione adatta ad accogliere suoni così crudi, mentre il periodo storico non potrebbe essere altrimenti – specie per l'attualità degli scontri politici nella stessa area di questa registrazione. In modo eloquente, il quadro termina su un encefalogramma piatto: di tutto questo vi rimarrà, al massimo, un ronzio di elettricità statica.
I Pan Sonic non sono più, eppure "Oksastus" è. A ricordarci che, forse, la guerra non è ancora finita.
27/03/2014