Sono trascorsi sedici anni da quando Mika Vainio e Ilpo Väisänen crearono Pan Sonic, progetto musicale che nel breve volgere di un quarto di secolo ha esplorato a fondo le molteplici espressioni del suono elettronico, così come si è evoluto e sviluppato nello scorcio degli ultimi venti anni.
Partiti da un evidente substrato fatto di ascendenze rumoriste dai marcati connotati industriali, i nostri hanno saputo introiettare e rielaborare in un'ottica eccentrica e allo stesso tempo disorientante, tutto ciò che ha avuto a che fare con quelle correnti proprie della electronic music contro cui si scontravano, per poi fondersi con battiti minimali, disturbanti clangori post-industriali e ombrose trame ambientali: istanze che venivano quindi riassorbite da un puntuale e geometrico assemblaggio digitale.
"Gravitoni" arriva quindi a chiudere il cerchio, serrandolo nel migliore dei modi, fissando definitivamente sulla pellicola quella che è ed è stata, fino ad oggi, la cifra stilistica del suono Pan Sonic e tornando contemporaneamente alla sorgente del suono stesso del duo: se da un lato infatti si assiste alla definitiva cristallizzazione delle caratteristiche pulsioni di minimalismo che hanno reso famoso il nome del duo finnico, d'altro canto non si può che prendere atto con entusiasmo dell'irruenza con cui l'elemento rumorista fa ritorno per suggellare l'ultimo atto firmato dal tandem Vanio-Vaisanen.
L'estetica del disco appare chiarissima, pur nella sua multiformità, già dalle primissime note di "Voltos Bolt": un beat robotico da battimani introduce a clangori industrialoidi che si inframezzano a momenti di pura stasi, sui quali interviene una sezione ritmica marziale accompagnata da bordate sotterranee. L'universo dipinto è di un grigiore unico, non c'è spazio per sfumature di sorta e "Wanyugo", seppur meno cattiva e arrabbiata, ma forse più sinistra e tetra, è pronta a ricordarcelo.
Non ci sono spazi aperti, la claustrofobia gioca il jolly della paura totale nelle vibranti bordate di "Corona", sicuramente uno degli apici di "Gravitoni". Sulla struttura granulare della quarta traccia si inseriscono a più riprese lame che trapassano l'udito da parte a parte, sfoderando una collera sonica epica e iniettando veleno purissimo nelle vene dell'ascoltatore.
A partire da "Radio Qurghonteppa" e dal fluire magmatico di "Trepanointi/ Trepanation" qualcosa, però, cambia. Non più secche miratissime raffiche, ma quadretti spettrali. E fra le stalagmiti di quella caverna silenziosa che risponde al nome di "Väinämöisen uni/ Väinämöinen Dreams", le vibrazioni impercettibili del manto di "Hades" o i glitch in dispersione di "Kaksoisvinokas/ Twinaskew" si giunge a "Pan Finale". L'ultimo atto del duo finnico è clamoroso. Sintesi di un ventennio vissuto da protagonisti assoluti della scena sperimentale mondiale, "Pan Finale" rappresenta ciò che i Pan Sonic sono stati, come si sono evoluti e il lascito che hanno concesso: un climax ascendente puntellato da un beat vellutato ma deciso, glitch che si inseriscono nella struttura, variazioni tonali e texture finissime fino a un'esplosione assolutamente misurata e poi giù di nuovo, verso abissi isolazionisti dai quali trapassa un'ultima pugnalata noise.
Complessivamente l'esperienza cui ci obbliga "Gravitoni" è totalizzante quanto agghiacciante: assoluta nel suo ripercorrere e concentrare in 11 composizioni il portato di sedici anni votati a un'infaticabile ricerca dei polimorfismi caratterizzanti l'idea di sperimentazione, terrificante nel suo incedere claustrofobico, asfissiante: è bandita ogni possibilità di amorosa e definitiva quiete, e questo è forse l'unico sigillo che Pan Sonic poteva lasciare ai posteri come testimonianza della propria visionaria e devastante estetica minimale.
06/06/2010