Shintaro Sakamoto

Let's Dance Raw

2014 (Zelone / Other Music)
psych-pop, lounge-pop, songwriter

Tra le più creative e imprevedibili psych-band in un paese che alla psichedelia ha dedicato poderosi monumenti sonici nel corso dei decenni, gli Yura Yura Teikoku, nel corso di una carriera prolificissima (come prassi richiede) e tutt'altro che succinta hanno esplorato in lungo e in largo tutte le potenzialità comunicative del loro suono, che nell'ultimo eccellente “Kudou Desu” li ha visti avvicinarsi con risultati tutt'altro che scadenti verso il pop e allargare a dismisura il proprio pubblico, anche grazie all'inserzione di un loro brano nella colonna sonora del gargantuesco “Love Exposure” di Sion Sono. Tutto lasciava presagire che il terzetto, giunto all'apice della propria affermazione, facesse fruttare tutto il proprio peso specifico e tentasse il colpaccio, alla volta di nuovi territori da conquistare.

E invece no. All'aprirsi del nuovo decennio, i tre prendono strade diverse, privi ormai dello spirito e dell'intesa che li aveva tenuti insieme per così tanto tempo. Shintaro Sakamoto, il capelluto vocalist e chitarrista della band, coglie immediatamente la palla al balzo, presentandosi soltanto un anno dopo con tanto di label personale e un disco pronto da lanciare, che perpetuava con analoga classe i fasti qualitativi della precedente ventennale epopea. Flash forward al 2014, e “Let's Dance Raw” non soltanto dimostra la totale assenza di estemporaneità di un progetto simile, ma ripresenta con la medesima forza un mélange stilistico che al momento soltanto il suo autore sa sfruttare con così ampia spregiudicatezza. Si badi bene, è un pregio non da poco.

Con tutto che il revival Seventies (da intendersi nel senso più ampio possibile, non soltanto riferito a prog-rock, psichedelia e dintorni) è da un bel po' di tempo che va avanti in Giappone, interpretato in mille modi diversi da band spesso e volentieri di notevole livello (da menzionare perlomeno i Kegawa No Maries e lo sbarazzino quintetto Kinoco Hotel, capitanato dalla bizzarra figura di Marianne Shinonome), questa corrente (ri)elaborativa non soltanto non accenna a esaurirsi, ma si ripresenta con ondate sempre più violente, e allo stesso tempo sempre più difficili da ignorare. Con il suo secondo lavoro, Sakamoto potrebbe quasi ergersi a cresta di quest'ultima mareggiata, il modello da seguire (e perché no, da battere) per i nuovi nomi da venire. Anche senza raggiungere picchi di straordinaria eccellenza, la gestione del suono e della scrittura rivela infatti una conoscenza e una passione per quella stagione che sfugge al bieco vezzo citazionista.

I punti di partenza sono insomma chiari e ben definiti, e se non si ha voglia di partecipare al gioco abbassando le proprie difese interne vi è ben poco da apprezzare, meglio desistere sin da subito nell'impresa. Nell'arco dei dieci pezzi del lavoro, è un vintage lussuoso e raffinato a dominare la scena, una combinazione perfettamente congegnata di echi psichedelici (tanto ovvi quanto necessari), lounge, exotica, funk e più classico cantautorato, in un pot-pourri di suggestioni che una suadente steel guitar hawaiana commenta in ogni occasione possibile e immaginabile: lasciarsi trascinare dopo un po' diventa più facile che mai.

Anche senza corredare di troppa mutevolezza espressiva i brani, questi ultimi rispondono infatti perfettamente alle esigenze di un disco pop strutturato a dovere, forti di una produzione che spazza via finte patine lo-fi e muffosità di turno e ripresenta quei suoni in tutta la loro potenza ed eleganza, traslati temporalmente e rimessi a lucido come se fossero la più frizzante e fresca tra le mode. Interpretati egregiamente da Sakamoto, che si dimostra ancora una volta vocalist duttile, lontanissimo dalla slavatezza che contraddistingue tanti tra i cantanti uomini in Giappone, i pezzi si danno il cambio con felpata sinuosità, imbastendo una sorta di lunga jam slow-psych da gustarsi tutta d'un fiato, senza inutili questioni di preferenza a entrare nel merito dell'ascolto.

Poi si possono rilevare torbide atmosfere da poliziottesco d'antan nelle dinamiche di “Why Can't I Stop?”, sbiadite cartoline arrivate da paradisi mai esistiti nella lussuosissima title track, nostalgici echi country in “You Can Be A Robot, Too” (paradossale la giustapposizione con il titolo), e chissà quant'altro ancora. La mente viaggerà indomita alla ricerca dei paragoni e dei richiami più appropriati per ogni situazione, per ogni suono che si staglierà all'ascolto. La verità, comunque, è che Shintaro non si è limitato semplicemente ad abitare il suo ambiente d'elezione, lo ha demolito e ricostruito secondo i suoi parametri e desideri, giocando con i cliché e le aspettative come uno scafato prestigiatore.
Probabilmente non vedremo mai più gli Yura Yura Teikoku esibirsi o proporre materiale inedito. In ogni caso, c'è chi ne porta avanti lo spirito e la duttilità di linguaggio nel migliore dei modi.

15/12/2014

Tracklist

  1. Future Lullaby
  2. Birth Of Super Cult
  3. Extremely Bad Man
  4. Let's Dance Raw
  5. Like An Obligation
  6. Gently Disappear
  7. You Can Be A Robot, Too
  8. Why Can't I Stop?
  9. Never Liked You, But Still Nostalgic
  10. This World Should Be More Wonderful

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