Nelle sue molteplici (e mutevoli) versioni soliste, Thurston Moore ha sempre dato l'impressione di volersi distanziare il più possibile dai Sonic Youth. Era così già ai tempi di “Psychic Hearts” - e ci trovavamo ancora nel bel mezzo dei fatidici Nineties - e lo è stato a maggior ragione in seguito allo scioglimento della band-madre, quella con cui per trent'anni ha riscritto le regole dell'alt-rock americano insieme all'ormai ex-consorte Kim Gordon: “Demolished Thoughts” segnava l'inattesa svolta acustica, peraltro curata in prima persona da Beck; quanto al progetto “Chelsea Light Moving”, al netto di un certo stile riconoscibile e di svariate giravolte noise, trattavasi in ogni caso di una strada tutta nuova e autonoma, collaterale rispetto al cammino fino ad allora compiuto.
Con “The Best Day”, verrebbe da dire a sorpresa, Moore intraprende il percorso inverso. Rivolge lo sguardo al passato, e su di esso costruisce un nuovo presente che tiene conto, intelligentemente, di quanto c'è stato in mezzo. Lo si ravvisa nella materia sonora, in quei fraseggi di chitarre che sospendono la tensione in limbi che quasi mai deflagrano, nelle lunghe progressioni strumentali, mai comunque fini a se stesse, mentre le tracce delle opere più recenti si evidenziano nei passaggi in acustico, utili sia a stemperare i toni (e a renderli più maturi, quasi ci si vergognasse un po' di rispolverare fino in fondo la rabbia giovanile) che a lasciare spiragli aperti per eventuali seguiti di “Demolished Thoughts”. Ad affiancare il Nostro c'è una band di tutto rispetto: Steve Shelley, ultimo fedelissimo dell'epopea sonica, la bassista dei My Bloody Valentine Deb Googe, e poi Samara Lubieski, John Moloney e Keith Wood, ovvero i restanti Chelsea Light Moving.
Otto canzoni per cinquanta minuti di musica inaugurati dal monolitico binomio “Speak To The Wild”-“Forevermore”, inquiete cavalcate che si strutturano man mano sui riff di chitarre, a cavallo di progressivi crescendo e calme apparenti. “The Tape” introduce sonorità acustiche, “The Best Day” dopo una breve intro blues raggiunge l'ipotetico giro di boa con la più disinvolta tra le melodie contenute nell'album - verrebbe quasi da rispolverare il termine pop.
I retaggi delle ore spese in studio con Beck trovano ulteriori frutti negli arpeggi acustici di “Vocabularies” (tra le righe qualche reminiscenza degli Alice In Chains), mentre i fraseggi della finale “Germs Burn” ritornano là dove l'opera si era aperta.
Il passato che ritorna e le istanze di un presente pulsante e ancora in gran parte da esplorare convivono pacificamente in “The Best Day”: un po' come a dire che, quando c'è la classe, il resto viene di conseguenza.
06/11/2014