Christian Wallumrød è il classico personaggio che lavora dietro le quinte, si mostra di rado e pochi arrivano a conoscere per nome. Membro (e leader) di una svariata quantità di ensemble impro (e non) nella natia Norvegia, fra i collaboratori più stretti di gente come Erik Honoré, Jan Bang, Ingar Zach e Håkon Stene, personaggio di punta della generazione di Trondheim, eppure qui alla prima escursione discografica in solitaria.
“Pianokamer” è un biglietto da visita, un lavoro in cui Wallumrød mette sul piatto, riducendola ai minimi termini, quella parte del suo universo sonoro che esula dalla coralità della dimensione di gruppo. Vale a dire, dunque, la meditazione al pianoforte, che qui assume i connotati più disparati, sposando una varietà di umori e scenari. Se da un lato questo ci regala un lavoro vivace e imprevedibile, dall'altro mina forse l'unità di quello che sembra più che mai un compendio di idee.
Il drone rarefatto e oscuro che apre le danze in “Fahrkunst” va letto come un'eccezione, preambolo ad una collezione in cui protagonista unico e assoluto è il pianoforte. Tipicamente jazzy e old style sono la sonata di “Boyd 1970” e la vivace conclusione di “Lassome”, gli episodi decisamente meno impegnati dell'intero lavoro, laddove invece “Hoksang” ricalca con classe sopraffina il Keith Jarrett più spensierato.
Il clima decisamente gradevole di questi episodi è in netto contrasto con la tensione minimale di “Second Fahrkunst”, reprise dell'introduzione ornata da note brevi e dissonanti di piano, e con il martellante fraseggio di note alte di “School Of Ecofisk”. Questi passaggi più complessi coincidono anche, paradossalmente, con i momenti meno coinvolgenti di un album voluamente (ed efficacemente) riassuntivo. Nella speranzosa attesa di un piatto più sostanzioso in breve tempo.
17/04/2015