I too am not a bit tamed
I too am untranslatable
I sound my barbaric yawp
over the roofs of the world
Certo che, non ci fosse, uno come Steven John Hamper andrebbe inventato per forza.
Noto esclusivamente con lo pseudonimo (Wild) Billy Childish, in Inghilterra è una specie di piccolo tesoro nazionale, un'icona del sottobosco indipendente mai ascesa al rango di rockstar e nondimeno venerata da molti colleghi famosi sulle due sponde dell’Atlantico (Beck, PJ Harvey, Graham Coxon e Brian Eno tra loro). Perfettamente a proprio agio nei panni del personaggio di culto, status conquistato grazie a una personalità di irriducibile bastiancontrario e ad alcune bizzarrie nel suo corredo estetico/caratteriale, Childish è un maturo artista che ha inciso più di centoventi Lp in quasi quarant'anni di carriera, dipinto qualcosa come duemila quadri e pubblicato sei romanzi e quaranta raccolte di poesie. Della sua sterminata biografia musicale va ricordata la militanza da leader in una miriade di band dalle marcate venature punk (Milkshakes, Mighty Caesars e Headcoats le meno ignote). Oggi è forse celebre, più che altro, per i lunghi mustacchi o le eccentriche divise coloniali che sfoggia dal vivo, per l'allergia verso il music business, le amicizie con fan adoranti quali John Peel, Jack White (finite malissimo) e Kurt Cobain, oltreché per un’incontinenza discografica che tende al proverbiale.
Negli ultimi tempi è diventato padre e ha sensibilmente rallentato i ritmi, per quanto la pensione continui a sembrare un’ipotesi assai remota: un solo album a referto in tutto il 2014 dovrebbe valergli come record negativo, ma è pur vero che un altro disco – “Archeopteryx vs. Coelacanth”, cointestato agli Spartan Dreggs – è già in rampa di lancio. Ultima uscita, terza consecutiva con l’intestazione CTMF, è questo “Acorn Man”, licenziato ancora una volta dalla fidata Damaged Goods. Il progetto (l’acronimo sta per Chatham Forts) risale, almeno sul piano delle intenzioni, al biennio 1976-77, appena prima della nascita del primo gruppo di Hamper, i Pop Rivets. Di quelli che allora dovevano essere i suoi compagni non v’è traccia, la band è di fatto la stessa dai tempi di Buff Medways e Musicians of the British Empire, ma i testi sono tutti originali dell’epoca e hanno finalmente trovato la loro musica. Billy ha definito questa ennesima incarnazione un “compendio della modernità”, sostenendo con innocua ruffianeria che il suo è il “suono di ieri, domani”.
Nella più stretta osservanza del proprio dogma, Childish ripropone a oltranza la sua infallibile ricetta a base di stilettate beat, ruvide vibrazioni punk (proto o post, non fa differenza), bonario primitivismo e suoni sporchi e analogici, senza sovrastrutture o artifici di alcun tipo. La solita festosa e sgangherata celebrazione della presa diretta in cui è il fuzz a farla da padrone: dozzinale, anacronistica, approssimativa, refrattaria alla bella forma e fedele fino alla morte al sacro schema chitarra/basso/batteria (con la sola intromissione di un Farfisa, sepolto proprio in chiusura); una miscela risaputa quanto si vuole, ma capace di sbaragliare ancora con ampio margine il grosso della concorrenza, non soltanto in Inghilterra. Stilisticamente si tratta di un back to basics che riavvicina all’ultimo vero gioiello della discografia childishiana, “Punk Rock At The British Legion Hall”, e continua a far tesoro della lezione dei primi Kinks, dei Fall e, soprattutto, dei Clash.
Parte in quarta “Acorn Man”, con uno di quei pezzi particolarmente incisivi – refrain micidiale, riffoni erculei quanto elementari, cattiveria e marasma a livelli incoraggianti – perfetto per aggiornare un repertorio di mirabilie garage ormai sterminato (dose presto rincarata dall’equipollente “He Wore A Pagan Robe”). Il canagliesco terzetto del Kent opta per una maggiore accessibilità rispetto agli ultimi lavori e tradisce, grazie alla sua energia non filtrata, uno stato di salute pressoché eccellente. Dopo circa una decina di anni dimostra di trovarsi a meraviglia, una vecchia auto molto ben rodata e lanciata a tutta, con la Roadrunner del baffuto capobanda sempre efficacissima e il reattore ritmico di Wolf Howard a pieni giri. Chi sembra aver addirittura guadagnato punti è la signora Hamper, quella Nurse Julie che disegna gli spigoli col basso e assicura puntuale quel sapore da vizioso girl group nei pochi episodi in cui le venga concessa l’esclusiva del microfono (benissimo nel bubblegum da sciroccati di “Zero Emission”, nella monellata “What Is This False Life You're Leading” e nel muffoso duetto di “A Flame From The Fen”).
Selvaggio, forbito, delizioso, caustico, fieramente antintellettualistico, nella title track sale in cattedra il frontman dopo aver per ampi tratti condiviso la scena con la consorte. Il suo accento pungente si conferma fenomenale, specie nei due brani manifesto dell’album: “Punk Rock Enough For Me”, ennesimo inno della carriera e rosario di quanto di più memorabile secondo l’artista (The Who before rock, The Beatles without George Martin, Wire at the Roxy, Leadbelly, Billie Holiday, Dostoevskij, John Fante, Knut Hamsun…); e “The Song Of Myself”, sorta di spoken word in cui le parole del Walt Whitman di “Foglie d’Erba” assumono i contorni di un giuramento o una preghiera laica.
Insomma, cambiano le ragioni sociali, si avvicendano le annate e i sodali ma le canzoni di Childish non accennano a volersi evolvere in alcun modo, non si lasciano inquinare da sirene alla moda, così come il personale Olimpo del cantante non registra new entry. Ve benissimo così. Nessuno si sognerebbe di pretendere da lui, a cinquantacinque anni suonati, una svolta poco sincera. L’ideale fratello maggiore Joe Strummer rimane idolo senza eguali, e l’omaggio a “Should I Stay Or Should I Go” nei solchi di “Me Or Mine” è talmente scoperto e affettuoso da annullare in partenza qualsivoglia sospetto di plagio. Accolto questo semplice assioma, non sarà troppo difficile riconoscere nell’ostinazione espressiva del baffone di Chatham una dote tra le più pure e commoventi offerte oggi dalla musica rock.
Quella ancora degna dell’etichetta, perlomeno.
07/01/2015