Il sussurro di Fitzsimmons si adagia così su brani piuttosto allineati a una malinconia di fondo, che continua, a dispetto delle dichiarazioni dello stesso sui suoi propositi di onestà e di ritrovata vena, a sembrare sempre un po’ scialba. Dall’arrangiamento alla composizione, tutto il disco suona privo di freschezza, se non di ispirazione, ancorato a giri armonici ripetitivi e risapute soluzioni di accompagnamento (il pianoforte di “Josie’s Song”, il sottofondo femminile di “Sister”).
Si consuma così un gioco al ribasso, più che un ritorno alle origini, in cui anche sul piano dei testi si sfiora spesso una stucchevolezza e un’affettazione di mestizia (“Centralia”) che il miglior Fitzsimmons decisamente non conosceva – primo segno di un’involuzione forse irrecuperabile.
(14/02/2014)