Fuoriuscito dal duo Herman Dune, il francese André Herman Dune procede innarestabile nella produzione discografica sotto il nome di Stanley Brinks. Più di venti pubblicazioni (lui sostiene siano cento) tra cd, vinile e Cd-r, una quantità di album che di fatto impedisce un’analisi costante delle sue divagazioni sonore a base di folk, rock’n’roll e calypso.
Quarto disco inciso con la collaborazione della band inglese dei Wave Pictures, “My Ass” rafforza le similitudini con l’urban folk’n’roll di Jonathan Richman, grazie a un set di canzoni spartane e solari, il cui merito principale sembra essere quello di catturare un momento creativo spontaneo e irripetibile, quasi una jam session da fine serata dove divertirsi e far divertire il pubblico rinunciando a regole e schemi.
Nulla di nuovo per il musicista francese di origini svedesi, ma innegabilmente “My Ass” suona più convincente e compatto del solito.
Le canzoni hanno uno schema lirico mai banale o superficiale nonostante l’atmosfera svogliata da pub e il sarcastico ottimismo dei testi. Molte sono impreziosite da assoli di chitarra che raramente trovano una collocazione definitiva, disturbate continuamente da penny whistle (un tipico flauto irlandese a fischietto) nonché da suoni alieni e cori fuori tono.
Si tratta di dodici brani mid-tempo nei quali il pop e il rock’n’roll diventano materia primordiale e vulnerabile. Ben tre canzoni hanno per titolo il nome di una città, altrove i testi si dividono tra storie d’amore finite, bicchieri di whisky, e momenti di riflessione, sempre sottolineati da atmosfere beffardamente solari.
A volte riecheggia la stessa insana genialità dei dimenticati Jazz Butcher, soprattutto quando il rock’n’roll emerge in modo più vivace (“Brighton”, “Goodbye My Love”), ma la costante resta il flavour esotico degli arrangiamenti dei fiati che aggiungono a volte mistero (“My Camel”), a volte un profumo caraibico (“Fire To My Mind”).
Ci sono delle piccole perle in “My Ass”, canzoni che sembrano destinate a diventare classici delle scorribande live, come la splendida “Berlin” o la bluesy “Love Me Too”, ma sono la vaudeville “Wakefield” e la più poetica “Balluta Bay” le punte di diamante di un disco destinato a essere un vero e proprio oggetto di culto.
08/02/2016