John Southworth si candida sempre di più come l’unico vero erede di Harry Nilsson. Entrambi hanno attraversato il folk e il pop con un candore e un’innocenza lirica disarmanti, e a loro spetta il merito di aver sdoganato il ruolo del cantautore dalle asfittiche maglie del rigore acustico e malinconico.
Un leggero cinismo e un’insolita trasversalità stilistica da sempre contraddistinguono l’opera del musicista anglo-canadese, peculiarità messe ancor più a dura prova nel suo ultimo “Small Town Water Town”.
Dopo l’ambizioso doppio cd “Niagara”, John Southworth allenta le inflessioni jazz-folk e abbraccia la pop music nella sua complessità e variabilità creativa. Archi e fiati sposano i beat elettronici e la sessualità trasversale del primo glam-rock, dislocando il campo d’azione da Bob Dylan e Randy Newman verso David Bowie e Marc Bolan (e, perché no, Billy Idol).
Le canzoni sono un concentrato di poesia urbana, in cui al tenore lirico dei testi degni di Leonard Cohen o Rufus Wainwright l’autore associa un caleidoscopico pop trasversale che incrocia Burt Bacharach ed Electric Light Orchestra, senza che alcun residuo sia palpabile o percepibile. Ciò che non intimorisce o spaventa Southworth è la possibilità di giocare con accordi semplici e deliziosamente fruibili. Il synth-pop agrodolce ed evocativo di “Lucid Love” e il beat disco-soul di “When The Angel” rispolverano l’era Mtv aggiungendo un briciolo d’ironia e un delicato sarcasmo, ed è quasi naturale pensare agli Eurythmics quando drum machine e un trascinante groove intonano il languido pop di “Champions Of Love”.
Ancora una volta il musicista usa il linguaggio musicale come metafora di una società preda dell’indifferenza sociale e della vacuità emozionale. L’umorismo stempera la sofferenza e la solitudine: anche quando la malinconia sembra prendere il sopravvento (“Make No Mistake”, “Last Passenger Pigeon In Ohio”), prevale un disincanto dai toni crepuscolari. Non è un album facile, comunque: solo dopo molti ascolti le canzoni svelano tutta la loro bellezza e il labirinto lirico diventa familiare senza perdere mistero.
“Small Town Water Down” è un moderno "Rocky Horror Picture Show", una rappresentazione tragicomica che alla maniera di Badly Drawn Boy mescola banalità e colpi di scena, lasciando fluire l’immaginazione.
In quest’ottica i riferimenti stilistici diventano quasi necessari, ed è così che Bowie riecheggia in “Blue Sleeves” e Kate Bush detta i tempi di “Sapphire Spirit” e “Make No Mistake”; altresì non è difficile scorgere le geometrie degli Xtc dietro “Second Childhood” o i Divine Comedy più retrò nel glam-cabaret di “Ombudswoman”.
Ciò che alla fine rende unico “Small Town Water Down” è quella coraggiosa eccentricità che impedisce all’autore di valicare il confine tra pop d’autore e mainstream. Forse canzoni come “Main Library At Goodwood” e “Walk With Me” con soluzioni sonore più ruffiane potrebbero anche far breccia nella programmazione radiofonica, ma in quel caso non saremmo qua a discutere di genialità e creatività, due buone ragioni per innamorarsi di nuovo di John Southworth.
23/01/2017