Africaine 808

Basar

2016 (Golf Channel)
global-electronica, acid-tech-house

Si potrebbero dire tante cose sullo stato di salute (o di malattia, a parere dei tanti detrattori) dell'elettronica contemporanea, ma tra le tante ve n'è una sulla quale probabilmente è bene spendere più di qualche parola di circostanza, provando se possibile a non appiattirla al livello dei tanti cliché di cui è zeppo l'attuale dibattito critico. Vero è che questo stesso dibattito in parte ha portato a  definire quelli che sono i parametri dell'interesse moderno verso determinate sonorità e scene. È altrettanto vero però che a prescindere da simili discorsi, mai come adesso a essere motore primario dei nuovi linguaggi dance e dintorni è il mondo nel suo complesso, in un abbattimento dei confini che, per quanto temporaneo o meno potrà rivelarsi, ha portato alla ribalta una sfilza di personalità e producer tra i più talentuosi e lungimiranti degli ultimi tempi, forti di una peculiarità d'approccio che trascende ogni forma di consuetudine.
Dalla Bolivia al Sudafrica, da Lisbona al Venezuela passando per il Giappone e l'Iran, non c'è paese che non stia dicendo la sua in un panorama sempre più ricco di stimoli e novità, al punto che una Germania finisce quasi con il rimanere schiacciata in una simile fioritura di palcoscenici e contesti. Quasi, dacché il progetto Africaine 808 (con un nome che è tutto un programma) rende onore alla straordinaria ricchezza espressiva dell'elettronica tedesca attraverso un pugno di idee e una visione che sa coniare un idioma del tutto personale, capace di girovagare tra le tradizioni e le culture di mezzo mondo e piegarle a un sound acido e stratificato, ballabile e meditativo allo stesso tempo. In tutto questo, l'operazione svela ulteriori motivi di interesse.

Spingendosi in un certo senso in prossimità della ricerca della Real World di Peter Gabriel, con un metodo che sconfessa l'attitudine al campionamento propria di tanti progetti worldbeat/ambient-techno degli anni 90, “Basar” mostra tutta l'esperienza e la conoscenza di due veterani della scena techno tedesca nel muoversi e nel giustapporre senza alcuna difficoltà contesti e scenari dei più disparati, fornendo loro coesione e immaginario, come se in fondo la loro convergenza fosse quanto di più naturale.
In effetti, nell'ora di durata dell'album, è proprio “naturalezza” il termine che meglio descrive la collezione, la scioltezza con cui cumbia, afrobeat, jazz-house e quant'altro vengono rimasticati senza colpo ferire in un progredire che fa dei pattern di Roland e sintetizzatori il proprio perno ritmico e compositivo, escogitando una maniera del tutto diversa (se non nuova) di pensare l'acid-house e quanto le sta attorno.
L'utilizzo del comparto elettronico di certo è tra i più creativi in circolazione, forte di una capacità di adattamento che sa esaltare quanto altro avviene nei brani, senza alcuna smania di protagonismo. Tanta è la malleabilità che il duo sa applicare alle sue composizioni, che anche quando a prevalere è la natura più “organica” del suono (come nel tripudio di ottoni dell'introduttiva “The Awakening”), il contributo aggiuntivo sa fornire nuovi spunti di lettura, rintracciando commistioni insperate. Il caso della suddetta traccia d'apertura, capace di sposare suggestioni afro-jazz al tocco scarno e scheletrico del blues desertico (tradotto in cadenzate pulsazioni elettriche, come era lecito aspettarsi), è soltanto un breve assaggio delle potenzialità coordinative e d'assemblaggio del duo, che dalla sua vanta comunque un parco collaboratori di prim'ordine.

Facendo a meno di prevedibili affiliazioni con la sfera Uk-bass e dintorni (al di fuori dell'altrettanto prevedibile concessione di “Language Of The Bass”), ricorrendo ampiamente a strumentazione catturata dal vivo (la ricchezza timbrica delle percussioni in questo senso è indicativa del modus operandi del duo), “Basar” inietta calore soul e colore folk all'interno degli articolati tracciati sintetici escogitati dalla doppietta tedesca, di suo perfettamente a proprio agio in questo incontro di possibilità. “Ngoni” ricama sopra motivi dal sapore subsahariano affascinanti intrecci dal tocco ambient, a voler azzardare con le parole; la title track di suo strappa il sitar indiano da stanche rivisitazioni trance e lo circonda di segmentati pattern ritmici, su cui lasciar esprimere altrettanto intricate linee di synth.

Non c'è traccia che non presenti un motivo d'interesse, un elemento che possa catturare l'attenzione: dall'atto finale (prima dei due, invero un po' ordinari, remix di “Tummy Tummy”), affidato all'affascinante traslazione sulla pista da ballo di un esplosivo coro spiritual in “The Lord Is A Woman”, i tanti momenti di pura frenesia dance sanno andare oltre lo stantio four to the floor, e sfruttare una palette stilistica ben più ampia. “Crawfish Got Soul” arriva a una sintesi efficacissima di umori jazz, atmosfere del centro America (il commento micro-melodico di marimba) e tocchi afrobeat; “Yes We Can't” si imbarca alla volta della musica aborigena mantenendo alto il tasso di acidità elettronica, nonostante basso e didgeridoo rimangano i veri protagonisti.
Dovunque si peschi insomma, non si finisce insoddisfatti.

Privo di sostanziali cedimenti, con una formula che ancora gode di ottime possibilità di manovra, l'album d'esordio del progetto Africaine 808 lancia il guanto a chi d'ora in avanti vorrà cimentarsi nella stimolante impresa di rileggere le più profonde tradizioni della musica mondiale alla luce dell'elettronica, da ballo o meno che sia. Con l'intuizione giusta, linguaggi apparentemente sorpassati tornano a brillare di luce propria.

11/05/2016

Tracklist

  1. The Awakening
  2. Ngoni
  3. Language Of The Bass
  4. Nation
  5. Ready For Something New
  6. Basar
  7. Rhythm Is All You Can Dance (album mix)
  8. Crawfish Got Soul
  9. Balla Balla
  10. Yes We Can't
  11. Fallen From The Stars
  12. The Lord Is A Woman
  13. Tummy Tummy (ft. Nonku Phiri & Makadem) (Esa's afro synth bubblegum remix)
  14. Tummy Tummy (Auntie Flo remix)


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