Secondo lavoro solista per Marco Jacopo Bianchi, da Ivrea, già protagonista principale dei lavori pubblicati con i Drink To Me, l'ultimo dei quali, "Bright White Light", risalente a due anni fa. Cosmo - questo il moniker con il quale si sta affermando anche senza l'apporto della band - con "L'ultima festa" si conferma fra i più attenti aspiranti al ruolo di primo della classe in quel sempre più nutrito gruppo di musicisti alla ricerca (non di rado con risultati imbarazzanti) della giusta coniugazione fra vena cantautorale e suoni elettronici.
A pensarci bene, è un campo nel quale agiscono, e anche in maniera mirabile, alcuni songwriter fra i più apprezzati a livello mondiale, (da John Grant a Jamie XX la lista è lunga ed eterogenea). In Italia, come al solito, arriviamo sul pezzo, se non fuori tempo massimo, come minimo con qualche anno di ritardo, ed ecco che qualsiasi trovata risulta puntualmente già datata.
Cosmo, non lo scopriamo oggi, ha una scrittura interessante, molto piacevole, e riveste i propri testi con un synth-pop frivolo soltanto a un ascolto distratto: la reale nota dolente semmai è la costante indecisione fra un sicuro scarto in avanti (cioè verso le vere avanguardie electro) e i continui ripescaggi dal passato (la riproposizione di plasticose sonorità anni 80). Così facendo, anche le trovate più sorprendenti risultano espresse con troppa cautela, restando troppo spesso a metà del guado, inferiori tanto agli anni 90 dei Bluvertigo quanto all'attualità giovanilistica de I Cani.
Per comprendere il meccanismo compositivo di Cosmo potrebbe bastare l'ascolto dell'iniziale "Le voci", una traccia electro-pop piuttosto canonica, che da un certo punto si trasforma in un'orgia di suoni sintetici ad uso e consumo del dancefloor, per poi ritornare esattamente al punto di partenza. Dal punto di vista dei testi (senza dover scomodare confronti mitologici - Lucio Dalla - come mi è capitato di leggere in giro) Cosmo si situa a un ipotetico incrocio fra Max Gazzè e Calcutta, cercando la qualità nella semplicità.
Proprio come nel caso di Calcutta, ci sarà chi non comprenderà certi accostamenti, preferendo restare alla larga da "L'ultima festa", e chi invece impazzirà di gioia al cospetto di otto composizioni che compongono un dischetto snello e divertente. Da parte dell'autore rappresenta un ulteriore passo verso un disegno musicale ben preciso, ma che al momento resta ancora in itinere, non completamente realizzato.
Ma la strada è tracciata: è giovane Cosmo, a grandi falcate e per sterzate successive si sta avvicinando a produrre quello che potrà essere percepito come il suo disco definitivo. Che però, secondo la nostra sensazione, non è ancora questo qua...
20/04/2016