Ciascuno di questi segnali, unito alla psicosi collettiva, lascia credere che l'incubo sia lungi dall'essere finito. Forse anche per questo, nella fragilità che ci coglie in questo momento storico, torna a manifestarsi la rara illusione che nel suo piccolo sia la musica ad ascoltare noi, a venirci incontro generosa e con le braccia aperte, stringendoci in una quiete anestetica che sopprima indistintamente ogni costrutto della realtà visibile.
Dopo anni di apparizioni sporadiche e "minori", Eluvium si ripresenta con le sue sembianze più sfolgoranti in un nuovo, commovente connubio tra ambient e canto sacro: è come se i sampling di voci liriche ("Strangeworks", "Regenerative Being") e cori a cappella ("Movie Night Revisited", "Rorschach Pavan") provenissero dai più struggenti requiem mai scritti, da Tomás Luis de Victoria a Tavener e Górecki; uniti alle scie di chitarre e sintetizzatori, plasmate in una forma orchestrale dai contorni estremamente sfumati, essi giungono all'udito come la carezza della più amorevole delle madri - memore a più riprese dell'arcana perfezione cristallizzata tra i ghiacci di "Erebus".
Al suono di quell'inconfondibile organetto ("Fugue State", "Beyond The Moon For Someone In Reverse") il mondo appare spogliato di qualsiasi orpello materiale e ideologico, fuori dalla nostra finestra tutto sembra fermare la sua corsa per ritrovare una forma primaria di sentimento, un'unitarietà a lungo perduta che tiene tutto insieme in un legame invisibile al quale stentavamo sempre più a credere. Persino i più umili interludi, confondibili con bozzetti giovanili dall'impianto amatoriale, un ascolto dopo l'altro lasciano filtrare un lucore di placida serenità, utile a riassorbire il carico emotivo delle tracce principali.
E non è affatto fuori luogo che il viaggio giunga a compimento con un titolo denso e altisonante come "Posturing Through Metaphysical Collapse", lunga suite che sigilla l'opera sconfinando nella pura trascendenza: un immenso coro di voci raggiunge la saturazione totale mentre la linea melodica va ad essa sovrapponendosi, generando una densità sempre crescente ove già non pareva possibile aggiungere alcunché; l'apice è debordante, annichilente a volume sostenuto, come se la geografia immaginaria di Tim Hecker si rivestisse delle bianche coltri noise di Jefre Cantu-Ledesma, in una visione eterna e abbacinante oltre il bene e il male.
Cosciente che possa leggersi come una serie di malcelate iperboli critiche, credo fermamente che con un album come "False Readings On" persino il più bieco scetticismo dovrà far spazio a un'esperienza di così evidente assorbimento spirituale con la quale Eluvium, a quasi dieci anni di distanza da "Copia", firma un'opera che non ne costituisce un mero spin-off ma l'ideale passo oltre, la nuova consolazione a lungo attesa e infine trovata.
(01/09/2016)