Ha voluto far le cose con calma, Matthew Cooper, per partorire il suo sesto full-length ufficiale. Quella calma che da sempre costituisce il cuore della sua musica, quell'ondeggiare quieto che è diventato una sorta di trademark, quasi un sinonimo di Eluvium. Tre anni non sono poi così tanti, si potrebbe obiettare, ed effettivamente trentasei mesi erano trascorsi anche tra “Copia” e “Similes”, ovvero il capolavoro della sua carriera e il disco che sembrò aprire nuovamente le porte a una mutazione, a uno step ulteriore.
La voce e il ritmo erano le ultime new entry di un percorso artistico nel quale Cooper ha evoluto il suo sound di album in album con una gradualità e una moltitudine di sfumature a dir poco inedita.
Quasi a voler rassimilare il fluire di un'onda pure nell'ipotetica traiettoria del suo stile, anche Eluvium sembra essere giunto a un cambio di verso. Dopo aver viaggiato a lungo verso riva, calcando di brano in brano sabbie sempre diverse, il suo processo s'inverte ed ecco dunque l'increspatura svanire, per tornare ad affondare nel mare d'origine. Prima, però, resta giusto il tempo di toccare un'ultima volta quella sabbia prima che si asciughi, pronta a riprendere umidità pochi istanti dopo: ed è proprio in quest'ideale momento che “Nightmare Ending” si colloca. Potremmo definirlo l'anello di congiunzione tra “Copia” e “Similes”, il disco mancato tra i suoi 2007 e il 2010. E non ci vedremmo così male, dato che per ammissione dello stesso artista gran parte del materiale sonoro contenuto in questo doppio (il primo della sua carriera) risale proprio a quel periodo.
Quello che si vive ascoltando l'album è dunque un déja-vu in piena regola, in quel caldo e sensazionale abbraccio che già aveva colpito in “Copia”, e che torna qui a presentarsi sotto forma di una vera e propria orchestra sintetica, sulla quale il pianoforte – protagonista indiscusso dell'intero primo disco – ricama con armonia disarmante. Come disarmanti sono il paradisiaco incipit della splendida “Don't Get Any Closer” e il suo sfumare nei droni fluenti à-la-Pan American di “Warm”, l'acquarello sbiadito di “Sleeper”, l'intangibile e delicata lacrima di “Covered In Writing” e la gracile tempesta di “Rain Gently”.
L'incontro sonoro tra il moto ondoso e la sua riproduzione nella musica di Cooper avviene nell'immersione fennesziana di “Unknown Variation”, ma l'estetica dell'austriaco trasuda pure dal cuore pulsante di “By The Rails”, mentre la fumosa “Strange Arrivals” eredita con vigore dall'ultimo Harold Budd.
Capitolo a parte meritano i quadretti per pianoforte: non c'è, questa volta, una “Prelude For Time Feelers”, ma lo spessore emotivo della riflessiva “Improptu (For The Procession)” e, soprattutto, della struggente “Entendre” rimane elevatissimo, così come quello dell'unico episodio concesso alla chitarra e ai suoi riverberi, quella meravigliosa “Chime” che apre dall'interno di una cattedrale il secondo disco. Ai congedi sono invece affidati i ponti con il futuro nel passato: “Evenom Mettle” mescola la miscela eterea con ritmi voraci, mentre “Happiness” si affianca all'ambient-pop di “Similes” grazie anche all'ospitata vocale di Ira Kaplan degli Yo La Tengo.
“Nightmare Ending” è una sorta di punto d'arrivo dell'onda lunga di Eluvium, il compimento ultimo del suo sound e un tassello importantissimo all'interno del suo percorso. Pur non riuscendo a superare la perfezione raggiunta con “Copia” - e pur essendo, di fatto, il primo disco di Cooper a guardarsi indietro nella sua totalità – si tratta anche della consacrazione definitiva di quello che oggi è giusto chiamare Eluvium-sound, nonché della sua personalità artistica e della sua inarrivabile capacità di modellare con la sua musica la sfera emotiva dell'ascoltatore. L'altra faccia del capolavoro.
03/07/2013
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