Il linguaggio critico è da sempre avvezzo ai parallelismi tra diverse arti – che poi, a ben vedere, l'Arte non nasceva al plurale – proponendo rimandi più o meno efficaci ad altre discipline per esplicare sensazioni e immagini pregnanti.
Tra queste sopravvive a ragione l'idea di "architettura sonora", probabilmente ispirata non soltanto dalle strutture complesse e ascendenti della composizione classica, ma anche dai suoi elementi fondanti: gli strumenti musicali (l'organo a canne), le ampie formazioni organizzate gerarchicamente (l'orchestra) e gli ancor più imponenti contesti spaziali che le ospitano (dalla cattedrale all'auditorium). Ma nell'ambito degli strumenti, non soltanto musicali, la storia ha quasi sempre finito per favorire l'ottimizzazione e la riduzione, comprimendo la miglior qualità nel minor ingombro possibile – in sintesi, il prêt-à-porter.
Harry Bertoia è stato il baluardo di un'architettura sonora in senso letterale: attivo come scultore già negli anni del secondo dopoguerra, il solitario sperimentatore ha trovato nelle qualità acustiche dei metalli il complemento essenziale alla propria espressione artistica. Verso la fine degli anni 50, tra i boschi della Pennsylvania, Bertoia trasformò il capanno all’interno della sua proprietà in un laboratorio sonoro, una sorta di tempio arredato con le proprie creazioni in cui poter dar luogo a performance private dal carattere meditativo.
Nel 1970 darà alle stampe un primo Lp autoprodotto dal titolo “Sonambient”, al quale ne seguiranno altri dieci nel solo 1978, pochi mesi prima della morte prematura all’età di 63 anni. Un anno fa, nel centenario della nascita, la Harry Bertoia Foundation e Important Records hanno lanciato una campagna di crowdfunding per finanziare il trasferimento in formato digitale di oltre 350 nastri inediti conservati nella residenza dell’artista, ciascuno dei quali datato ed etichettato dallo stesso.
Questa prima riedizione – davvero importante, come da titolo dell’etichetta – raccoglie in un box le undici pubblicazioni siglate “Sonambient”, che ad oggi costituiscono l’intera discografia ufficiale di Bertoia. Un corpus che, secondo alcuni, ridefinirebbe le coordinate storiche della musica ambient occidentale, ma che in definitiva rimane un caso abbastanza singolare da meritare attenzione anche al netto della possibile precursione di un genere che forse, a ben vedere, è antico come la vicenda umana.
Come una rigogliosa vegetazione artificiale, i fitti raggruppamenti di steli metallici che tuttora abitano lo studio di Bertoia hanno una propria esistenza indipendente da qualsivoglia cronologia artistica: a chi sappia stimolarli con sensibilità e dedizione, essi possono restituire vibrazioni d’intensità variabile che delineano vasti paesaggi immaginari la cui suggestione trascende di gran lunga l’essenzialità formale delle sculture.
I titoli stessi delle lunghe tracce (la durata media è di oltre quindici minuti) inducono a visualizzare panorami desertici e quasi imperturbabili, percorsi soltanto da ombre e ventate squassanti; sguardi su larga scala che dalla ricchezza sinestetica degli oceani, delle pendici vulcaniche o dello spazio cosmico possono facilmente riformularsi come umbratili astrazioni metafisiche (“Echoes Of Other Times”, “Sounds Beyond”, “Near And Far”) o ancora come relazioni autoesplicative tra gesto e strumento (“Gong Gong”, “Swinging Bars”, “Softly Played”). In più casi, personalmente, mi sono figurato un’arte che mescola idealmente i sublimi “orridi” del Rinascimento con la desolazione delle rovine romane nelle incisioni di Giovanni Battista Piranesi.
Le sequenze sono da intendersi necessariamente come sessioni d’ascolto distinte, assai più valide come singole esperienze immersive che come elementi di un catalogo d’invenzioni sonore, la cui diversità si esaurisce infatti nell’arco di pochi brani. Benché la qualità audio sia comprensibilmente scarsa – quattro microfoni aerei indirizzati a un unico nastro da ¼ – non è pretestuoso affermare che ciò contribuisca a conferire un'aura occulta e misterica a questo laboratorio alla periferia della civiltà, del quale Bertoia fu a lungo il solo officiante.
Infine l’ampia documentazione saggistica e fotografica ivi raccolta sembrerebbe volta a riproporne una mitologia che però, in netto contrasto col maledettismo metropolitano dei vari Pollock e Rothko, riesce a offrire il ritratto misurato e affascinante di un outsider dell'arte sonora.
06/12/2016
Cd 1
Cd 2
Cd 3
Cd 4
Cd 5
Cd 6
Cd 7
Cd 8
Cd 9
Cd 10
Cd 11