È pur vero che il collettivo nato a Biarritz nel 2010 per iniziativa del tastierista Marlon Magnée e del chitarrista Sacha Got, e successivamente trasferitosi a Parigi per trovare una forma definitiva, era forse il segreto peggio custodito del panorama transalpino. Era infatti bastato "Psycho Tropical Berlin", licenziato nel 2013 dopo un paio di Ep preparatori, per riempire di attenzioni il sestetto sia in patria (dove si aggiudicavano la palma di miglior esordio dell'anno) che all'estero, complice anche la réclame di un'automobile - ovviamente francese - che presentava come colonna sonora la strofa di "Sur la Planche 2013".
Se questo era solo l'inizio, da parte sua "Mystère" non può che ergersi a manifesto di una band per natura sfrontata e debordante, imbevuta di tradizione francese a livello quasi enciclopedico ma al contempo dotata di un eclettismo e di una vena surrealista che ne fanno un caso ben più unico che raro: synth-pop, surf-rock, kraut, chanson e tonnellate di psichedelia convivono pacificamente all'interno di una tracklist tanto affollata quanto intensa.
D'altronde ci vuole un bel coraggio, o magari una discreta faccia tosta, per sfornare al giorno d'oggi un album di diciassette tracce non esattamente agili (si sforano spesso e volentieri i cinque minuti) per un totale di un'ora e un quarto di musica. Soprattutto se ci si candida a portacolori della nuova generazione nazionale. Eppure, nella sua lucida follia, questa eterogenea raccolta di brani funziona alla grande, a cominciare dalle ambientazioni "acide" di "Sphynx" - non solo ouverture della scaletta ma anche singolo apripista corredato da un'altrettanto lisergica clip interpretata dalla sempre più presente voce femminile del progetto, Clémence Quélennec - che fanno il paio con il rave di "S.S.D", geograficamente ambientato in una Parigi notturna e irrequieta.
Agli antipodi, in senso letterale, si collocano i barocchismi post-moderni di "Le vide est ton nouveau prénom" e "Psyzook", come prendere Françoise Hardy e rinchiuderla nel Paese delle Meraviglie al posto di Alice.
La sezione motorik che sorregge il synth-pop di "Mycose", la retrofuturista "Le Chemin" e l'agrodolce filastrocca yéyé "Septembre" richiamano gli altri numi tutelari del sestetto parigino, gli Stereolab di Laetita Sadier, ma l'equilibrio su cui poggia ogni brano è fragile e destinato a essere messo in discussione da quello successivo. Può trattarsi del punk spaziale di "Tatiana" o del beat fascinoso di "Exorciseur", talmente credibile da far pensare che i nostri abbiano trovato un vecchio quaderno di spartiti di Jacques Dutronc in qualche soffitta polverosa del nono arrondissement. L'alternanza di voci maschili e femminili che si rincorrono da un brano all'altro, d'altro canto, concorre ad amplificare l'effetto straniante dell'insieme.
I miraggi polverosi di "Al Warda" e la atmosfere rarefatte di "Vagues", con i suoi tredici minuti, rappresentano l'altra faccia di una psichedelia che ha anche il volto ieratico - e sintetico - di "Always In The Sun", unico brano in inglese e altro picco indiscusso di questa tracklist disseminata di gemme. Tracklist che si chiude sul midtempo sintetico "Couteau", un viaggio interstellare sulla scia degli Air.
Alla fine di questa lunga corsa, tra un cambio di direzione e l'altro, ciò che resta è un campionario di grandi canzoni. Per chi scrive, uno dei dischi dell'anno.
(23/09/2016)