"I'm a man now
And there's nothing you can do to make me change my mind
I'm a man now"
("iT")
I titoli rivelano parzialmente il taglio poetico, i testi contribuiscono a esplicitarlo senza mezze misure. D'altronde, la stessa ragione sociale scelta da Héloïse Letissier per la sua
one-woman band (con le Queens a rimandare al manipolo di
drag queen di Soho che spinsero l'artista francese ad affidare alle sette note le proprie angosce e i propri pensieri) tradisce, seppur in maniera non immediata, quali siano le mire liriche della sua penna, quale i messaggi che intende trasmettere. Identità di genere, anticonformismo, discriminazione, conflittualità tra privato e pubblico: il nucleo tematico del progetto Christine and the Queens, palesato sin dal primo Ep di cinque anni fa, rivela con orgoglio e partecipazione la propria natura squisitamente
queer, la voglia di mettere a nudo i moti di un'anima, attraversata da profondi cambiamenti e da ripensamenti altrettanto profondi sul modo di osservare il mondo attorno a sé.
Un'anima che, a partire dal lancio di "Saint Claude" nel 2014, e successivamente con la pubblicazione di "Chaleur humaine", in madrepatria ha saputo mettere d'accordo tutti, dalle frange più alternative al pubblico generalista: se non bastassero le visualizzazioni strabilianti e i dati di vendita a rendere palese tale successo, l'enorme interesse suscitato anche oltre i confini francesi, con una nuova edizione cucita su misura per il pubblico angolofono (finalmente edita anche nello Stivale) può essere un indicatore ancora più fedele. Difficile d'altronde che non ci si rendesse conto del suo potenziale internazionale: perfettamente bilingue, capace di conciliare in un solo affascinante
mélange immediatezza melodica, assoluta modernità di produzione e arrangiamento, danza,
performance teatrale e arti visive, imprime con la forza della sua personalità una visione del tutto peculiare sul materiale che registra. Per calamitare le attenzioni del mondo, in fondo, sarebbe bastato anche di meno.
Lungi dallo screditare l'edizione destinata al mercato internazionale (la quale anzi presenta rimaneggiamenti in inglese di alcuni dei brani e altri pezzi confezionati
ad hoc, tra i quali uno splendido duetto con
Perfume Genius nella dolente
electro-ballad "Jonathan"), tuttavia è la prima versione che meglio rappresenta, anche per ragioni strettamente filologiche, gli intenti originari della Letissier, che permette di apprezzare al meglio il magnetismo espressivo dell'artista. In un'alternanza più bilanciata, a volte anche nello stesso pezzo, tra inglese e francese (in "Science Fiction", ripetuta a mo' di mantra, compare addirittura una frase in italiano), e con la formazione teatrale della musicista a filtrare nel senso della narrazione, che rispetta con rigore pause, riprese, distensioni e momenti di maggiore concitazione ritmica, le riflessioni di Christine sanno rifuggire il banale stereotipo del diario confessionale, costruendo un percorso dal forte rigore pop che esalta il taglio lirico dell'autrice attraverso una grintosa pluralità di registri e moduli.
Con una scrittura ibrida, capace di accostarsi laddove necessario alla lunga tradizione di
chansonnier transalpini, la Letissier ammanta malinconia, dolore e frustrazione senza cadere nell'autocompiacimento da spenta
balladeer, lasciando che la produzione e il parco ritmico sovvertano invece ogni stereotipo, arrivando talvolta a sconfinare addirittura nella
dance-music. Seppur decisamente minimali, i tappeti sonori ideati dall'artista, essenzialmente ottenuti attraverso synth e tastiere, non mirano a sfumare delicati come onirico contesto di contorno, non addolciscono la pillola alla ricerca della nuova sottonicchia
electro-wonky da cameretta. Laddove subentrano anche ulteriori spunti strumentali (come negli ottoni dallo stampo funky di "Half Ladies", in cui appare evidente il santino di
Michael Jackson, oppure negli archi dall'afflato cameristico della succitata "Saint-Claude" e di "Here", il momento più classicamente pop del lotto), il desiderio è piuttosto quello di conferire colore e intensità, sfruttando ogni occasione per amplificare ai massimi termini il trasporto di ogni frammento melodico.
Su un tappeto sintetico ai confini con la techno, che non tarda a mostrare somiglianze con quanto realizzato da
Jonna Lee nel corso degli anni, "Christine" ("Tilted" nella versione internazionale; date un'occhiata allo splendido video qua a fianco) sfodera un ritornello micidiale (per testo e memorabilità) senza neanche palesarlo vistosamente, giocando soltanto su lievi inflessioni vocali, che passano dal rap al cantato con estrema facilità. Ed è solo un esempio della ricchezza di intuizioni di cui il disco è prodigo: su un canovaccio futuristico di stampo teutonico (
Kraftwerk anyone?), in "Science Fiction" la Letissier non tarda a saggiare la propria penna, smantellando ogni consuetudine compositiva ma arrivando comunque a presentare un gioiello pop in piena regola, a cui i contrappunti di synth e pianoforte non fanno altro che conferire ulteriore fascino.
Un fascino che sa sfruttare perfettamente anche la carta dell'interpretazione pura: la cover di "Paradis perdus", classico di Christophe con testo di
Jean Michel Jarre, necessita di un pianoforte e pochissimo altro per consentire a Christine di presentare al meglio i tratti agrodolci del proprio timbro (che non esita a sfruttare pure il
refrain di "Heartless" di
Kanye West per l'occasione), come allo stesso modo la
title track, i cui algidi sintetizzatori nulla possono contro il calore e la vulnerabilità di uno dei testi più struggenti degli ultimi anni.
In qualsiasi modo lo si prenda, "Chaleur humaine" si esprime al massimo delle proprie potenzialità, esibisce un controllo, un carattere e un'autorialità di cui tante figure del pop odierno sembrano purtroppo difettare.
Il futuro ci dirà di cosa sarà capace Christine and the Queens con i prossimi lavori. Di certo, di questa superdonna del pop contemporaneo si sentirà parlare a lungo.
11/08/2016