Edgar Morin, sociologo francese luminare nel campo della comunicazione di massa, negli anni Sessanta riconobbe accademicamente il fenomeno sociale del "divismo". Alcuni personaggi posti sotto i riflettori dei mass media, volenti o nolenti, finivano per diventare qualcosa di simile alle divinità elleniche: individui sempre al centro di mille attenzioni, protagonisti di gesta eroiche (o di fallimenti epici), circondati da un pubblico di "fedeli" pronti a tendere l'orecchio alle loro storie, nonostante alcune di queste "divinità" si fossero macchiate di nefandezze e scene di squallore fuori da ogni schema. Pete Doherty è un divo. Su questo non ci piove. Apparso ai suoi esordi come un giovane Sid Vicious ai responsabili della Rough Trade. Una poetica che vorrebbe aspirare alla profondità di Nick Cave e Lou Reed. Un suono, quello con i Libertines e successivamente con i Babyshambles, che costituisce una piccola perla sporca nel genere rock indipendente britannico. Una vita del tutto sregolata, fatta di eccessi, gli stessi eccessi ripetuti davanti a fotocamere, love stories sotto i riflettori condite dagli stessi eccessi di prima. Ma non è tutto fumo.
"Hamburg Demonstrations" arriva in un buon momento per Pete Doherty. "Anthems For Doomed Youth" del 2015 ha rappresentato una reunion dei Libertines tanto inaspettata quanto gradevole, Pete e Carl Barât hanno maturato sicuramente una capacità melodica superiore a quella dei loro esordi, forse a discapito di qualche scatto emotivo ma senza scadere in nessun modo. Il primo lavoro da solista di Doherty, "Grace/ Wastelands", è stato una prova un po’ incerta per il dandy di Hexam, prodotto tra gli ennesimi eccessi e un declino qualitativo dei Babyshambles, ha tuttavia dimostrato che Pete sa realizzare un buon disco anche con le proprie mani e suonando un genere più da songwriter.
Il nuovo disco prende il largo molto lentamente con le poliglotte "Kolly Kibber" e "Down For The Outing", che suonano familiari ma annoiano un po'. Il duetto con Suzie Martin solleva di colpo i toni dell'album, "Birdcage" (che circola già da qualche anno) è una splendida ballad, probabilmente molto autobiografica, che dimostra come anche la voce punk di Doherty può sposarsi con la melodia.
La prima versione di "I Don't Love Anyone (But You're Not Just Anyone)" cambia il sound del disco, proprio nel bel mezzo dell'ascolto cominciano incursioni folk più marcate. Il brano, scelto anche come singolo, è costruito su alcune note e sul ritornello della canzone popolare "When Johnny Come Marching Home" (a sua volta ispirata all'irlandese "Johnny I Hardly Knew Ya") e brilla sicuramente sulle altre tracce.
Anche la dylaniana "Oily Boker" e la vintage "The Whole World Is Our Playground" sottolineano questa vena folk emergente, rendendo sicuramente più ascoltabile la seconda metà dell'album. Merita una menzione anche il testo di "Hell To Pay At The Gates Of Heaven", con un sonetto che interpella direttamente un terrorista fanatico religioso tra toni sarcastici e qualche verso tagliente, in tema con l'esibizione dello stesso Doherty al Bataclan di Parigi, dove ebbe l'onere e l'onore di riaprire la stagione dei concerti in un locale così segnato dalla storia e dal sangue.
"Hamburg Demonstrations" resta in uno stallo creativo come il suo predecessore. Alla fine dell'album si è incerti su ciò che si è ascoltato, e l'immediatezza punk di Doherty inevitabilmente si perde. La voce spezzata e la chitarra acustica suonano un po’ piatte alla lunga e prima di qualche impennata sonora o lirica bisogna aspettare troppo. Tuttavia trapela una certa serietà di intenti, che lascia sperare in un periodo di impegno profuso nella musica piuttosto che nell'apparire sulle copertine dei rotocalchi britannici.
13/12/2016