Il sé non è soltanto il punto centrale, ma anche l’estensione che comprende la coscienza e l’inconscio; è il centro di questa totalità, come l’io è il centro della coscienza.
(Carl Gustav Jung, "Psicologia e alchimia")
Dopo aver lasciato la sua impronta in significativi ed eclettici progetti di gruppo (Siegfried, Carnera, Divisione Sehnsucht), Giovanni Leonardi esordisce nel 2017 con un album solista in cui sembra volere porre al centro l'Io e tutti i suoi primordiali contrasti. Per farlo, si trasforma in uno sciamanico maestro di cerimonie, capace di incanalare l'energia delle sue macchine analogiche in un rito ancestrale, fatto di glitch, volate pindariche del synth, soundscape vertiginosi, trame melodiche in loop, sussurri ossessivi, vibrazioni cosmiche e manopole che operano direttamente sulla coscienza dell'ascoltatore. "Paracelsus Account" stabilisce subito le coordinate del siderale luogo in cui Leonardi ci ha catapultati; un posto fatto di pericoli galattici, di fasce sonore che ci avvolgono lentamente, riportando alla mente i Tangerine Dream ("Alkhaest") e facendoci cadere succubi di qualche magia esoterica, incarnata perfettamente dall'oscura cover-art di Simone "Dinamo Innesco Rivoluzione" Poletti.
Il viaggio prosegue attraverso quattro canzoni che riflettono ad hoc le fasi del processo alchemico: dal giallo della spaziale "Citrinite", associabile all’elemento dell'aria e alla disciplina, segue la rossa "Rubedo", pietra filosofale che corrisponde all'armonizzazione e alla pienezza spirituale. Qui Leonardi tocca l'apice delle sue espressività, riuscendo a cogliere perfettamente l’archetipo del Sé, ovvero la summa dei propri contrasti. Un conflitto interiore che si manifesta tramite ritmi pulsanti, voci ansimanti e suoni in reverse. "Albedo 1" rappresenta invece il bianco, l'espansione della propria coscienza; la rinascita passa però attraverso il nero della breve ma spaventosa "Nigredo", che nei suoi cacofonici rumori rappresenta la paura dinanzi a un cambiamento. Proprio dalle ceneri di questo sentimento negativo Leonardi plasma il piacevole dub di "Tipheret", la rivelazione della profonda bellezza insita nella creazione e quindi nel Divino; una presa di coscienza che si fa pertanto guarigione e catarsi, soprattutto grazie a un ritmo ipnotizzante che si insinua come un mantra elettronico nella testa dell'ascoltatore.
Dopo i repentini saliscendi di volume di "Plasma Vortex", Leonardi omaggia nel video di "Notarikon" il motociclista Joey Dunlop e le sue corse, scandite da un alienante e ripetitivo crepitio di fondo. "Malkuth" e "Binah" continuano a modulare e combattere questo dualismo tra corporeità e intelletto, mentre pone fine alla discussione "Mobius Strip", che sembra trovare una sintesi tra queste istanze. Nato dalla mente di un matematico tedesco come esempio di superficie non orientabile, il nastro di Mobius (citato nel titolo) è stato poi soggetto a trasformazione e giocosamente adottato da maghi e artisti, fondendo in tal modo "intuito" e "ragione". Come uno stregone, Giovanni Leonardi pone quindi così fine alla diatriba con questa soluzione finale, racchiudendo nell'ultima traccia il mistero che si cela dietro al suo incantesimo alchemico.
31/03/2017