Jeremy Tuplin

I Dreamt I Was An Austronaut

2017 (Folkwit)
space-folk, songwriter

“C’è qualcosa di più grande?”: è questa la domanda che il cantautore inglese si pone in “Albert Einstein Song” riferendosi alla forza creativa lasciataci in eredità da David Bowie e a tutte le forme d’energia spirituale e cosmica. Nel frattempo la musica scorre sorniona, ipnotica nel suo evocare la celeberrima “Space Oddity”, aprendo le danze di uno dei più interessanti debutti degli ultimi tempi.

Per il suo album d’esordio, “I Dreamt I Was An Austronaut”, Jeremy Tuplin ha messo in piedi un originale space-folk nel quale synth, archi, ritmi tribali e strumenti acustici si fondono in un melting pot post-retrò – perfetta colonna sonora per una serie di canzoni che discorrono di misteri dell’universo e fantasie infantili. Il folksinger sfida la monotonia e la prevedibilità del cantautorato inglese con un disco inaspettatamente amabile e profondo. Tutte le canzoni si sviluppano intorno a un nucleo armonico ben definito, l’alchimia degli elementi messi in gioco è sempre personale e anche le esplicite influenze di Leonard Cohen e di Bob Dylan dell'era “Blonde On Blonde” non intaccano l’originalità dell’autore.

C’è la stessa poetica di Bill Callahan nel delizioso intreccio di violino e snare drums di “Did We Lose The Fight”, la flebile dolcezza di Nick Drake in “Kathleen”, perfino un vago sapore neo-psichedelico in bilico tra Velvet Underground e Pixies nell’incisivo groove ritmico di “Anybody Else”. Su tutto svetta il timbro vocale corposo, profondo e gelido alla Stuart Staples (anche se a volte ricorda Jim Irvin dei poco noti Furniture), con il quale Jeremy Tuplin padroneggia le emozioni con incauta maturità espressiva, regalando più di un attimo di poesia.
Non è però un album timido e solitario, “I Dreamt I Was An Austronaut”, anzi è a suo modo quasi rock’n’roll quando scorrono le note di “O Youth!”, addirittura cinico e insolente nella surreale storia di un cane che non riesce a suonare il pianoforte (“Feel Good Hit”).

C’è abbastanza carne al fuoco nel primo disco del cantautore di Somerset – un musicista abile nel generare atmosfere intense con pochi elementi sonori, come nella delicata ballata alla Blue Nile “Robot Love” o nella bandistica e quasi circense “Time’s Essence”, dove il suono dei tamburi tempera con sordo fragore il suono cristallino delle chitarre acustiche. È comunque nel finale che l’autore eleva ancor di più il tono espressivo della sua musica: prima con uno space-folk agitato da accenni di batteria e synth “In Front Of Me All This Time”, poi con la magica odissea emotiva e lirica di “Astronaut”, una ballata folk che cresce su poche note di chitarra acustica, fino a trasformarsi in un delizioso dream-folk inebriato da ritmi elettronici e accordi di synth. 

“I Dreamt I Was An Astronaut” è un album ricco d’immaginazione, un piccolo breviario per i sognatori e per tutti coloro che cercano nell’energia del cosmo una via di fuga dalla realtà. Per fortuna non avete bisogno di prenotarvi o fare le valigie, tutto quello di cui avete bisogno è racchiuso in queste deliziose e atipiche folk-song. Buon viaggio.

23/01/2018

Tracklist

  1. Albert Einstein Song
  2. Where The Light Ends
  3. O Youth!
  4. Did We Lose The Fight?
  5. Kathleen
  6. Anybody Else
  7. Feel Good Hit
  8. Robot Love
  9. In Front Of Me All This Time
  10. Time's Essence
  11. Astronaut
  12. (Reprise)






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