Sono anni che faccio finta di nulla ma in realtà mi scervello per capire chi siano i Killers. Non sono ancora arrivato a fermare i passanti, o la cassiera del mio supermarket preferito, per chiedere lumi, spiegazioni, ragioni, però parlo da solo, con o senza teschio in mano.
Chiedi chi sono i Killers. Non esistono, non hanno una ragione di essere. Come, scusa? Ecco la mia prima teoria, che spaccio come una sorta di verbo preziosissimo da elargire per destare attenzione, interesse, magari anche un po' di apprensione: i Killers sono considerati un gruppo pop-rock, tra i più popolari, forse secondi solo ai temibili Coldplay, che però sono in realtà gli U2 mascherati da gorilla e quindi appartengono a un altro pianeta.
Ma se sono un gruppo pop-rock celebrato, che fa i numeri, com'è che dopo quasi quindici anni di carriera nel loro carniere possono "vantare"... sì e no tre classici(?). A parte il primo singolo pubblicato nel 2004, che provocò uno scossone nei cuori dei nostalgici e fece sobbalzare gli animi più giovani che si stavano cibando dei tesori eighties tra i trenini di Spazio Petardo, quali e quanti preziosismi popular hanno realmente lasciato ai posteri i Killers?!
Ma forse ho torto, forse non è colpa dei Killers, probabilmente non è neanche colpa mia, ma dell'epoca in cui ci troviamo ad ascoltare, leggere, consumare cultura, un'epoca che non aspetta, che corre, che fagocita, che corrompe. E magari lì fuori siete in 15 milioni e vi trovate in altrettante camerette, salotti, soggiorni e riuscite a compilare una compilation di successi dei Killers, un greatest, addirittura doppio. Roba da fare concorrenza ai vari modelli di riferimento dichiarati dai tipi di Las Vegas, gente capace di realizzare almeno un hit single epocale all'anno per un lustro di seguito.
Ma i Killers mica esistono. Poiché un gruppo pop, composto da quattro-cinque elementi deve proiettare sul pubblico, sull'utente, una serie di suggestioni provenienti da ogni singolo membro, c'è qualcuno realmente interessato alle sorti del chitarrista dei Killers? Ma chi è? Che suono distintivo offre il bassista? I Killers sono Brandon Flowers, che ha pure nome e cognome giusti, un viso accattivante. I Killers sono come i Simply Red, un gruppo non gruppo, con un leader che fa tutto. E infatti se ne esce magari con un album solista che sembra un disco dei Killers.
Ma soprattutto Brandon Flowers è l'equivalente della Settimana Enigmistica in musica. Un libercolo di indovinelli, perfetto per i pomeriggi un po' apatici, come pure per le giornate votate al picnic o le notti insonni, in compagnia o in solitudine. Apri una pagina a caso e ci provi: cosa mi ricorda questo pezzo, aspetta un po'... E il tempo passa in maniera gioiosa.
E Brandon Flowers è uno bravo sul serio. L'unico di tutta la genia del revival anni 80 a non aver mollato, a essere rimasto al proprio posto, a saper costruire un disco effettivamente accattivante che cresce, che ti si impianta nei circuiti della memoria, che solletica il gusto melodico, che ti costringe a metterti in posa, a inforcare gli occhiali da sole, a farti illuminare dai raggi, mentre una brezza ti smuove i capelli al rallentatore, che ti impone di muoverti sulle punte, quasi danzante, caricaturale ma tutt'altro che stupido (ma non fatelo in strada che poi vi prendono per scemi). Brandon ti fa sentire di nuovo protagonista di un videoclip.
E Brandon è il depositario di un'arte mainstream che oggi viene sfregiata, fatta a pezzi dai farabutti del coretto e della cassa piatta e dritta, dei costruttori di canzoni che partono piano, crescono progressivamente, e poi prendono la rincorsa per fare la ola. Gente che canta di Beautiful Day e di Paradisi sempre e comunque, e magari ci infila dentro un bel sermone e poi, via, tutti in coro, vorrei cantare insieme a voi, in perfect harmony.
No, Brandon è diverso, costruisce canzoni ricalcandole da copie prestigiose, le mischia e tira fuori dei bei ritornelli, classici, antichi ma che sembrano freschi. Sul nuovo album, primo in Gb e negli Usa in contemporanea, la title track si muove ansiosa come un brano combat-rock dei bei tempi, con un basso pulsante, un recitato febbrile, tastiere che mimano archi, per poi aprirsi a un chorus magistrale, ampio, ben delineato, anche declamante, ma non cafone. Poi arriva "The Man" e cambia tutto: un omaggio a George Michael, con il supporto degli Sparks in versione disco, e la produzione dei Daft Punk, o di Nile Rodgers o di chi volete voi. Perché tanto quello che conta è l'interpretazione di Brandon che rende irresistibile tutto.
Scorrono via via brani come "Rut" e "Life To Come", e ti chiedi dove tu li abbia già sentiti, con tutto quel contorno di synth, il coro gospel, il fantasma di Bono quando era ancora un cantante, memorie e controcanti di meteore perdute nella notte dei tempi o di qualche tubo catodico dismesso (i Cock Robin?!). Ma basta una virgola in più e Brandon prende in ostaggio pure Marian Gold, l'ugola crucca degli Alphaville, ma se di rapimento si tratta è da considerarsi sempre affettuoso. Marian insomma se la spassa a casa di Brandon e riappare clamorosamente come se fossimo di nuovo nel 1984 in "Run For Cover". Brandon dovrebbe mettere su un'agenzia che aiuta le ex-stelle del pop dismesse e affrante: basterebbe solo mimare le sue canzoni tributo.
Ve lo ricordate Ric Ocasek, il leader dei Cars, quello che scriveva motivetti super-orecchiabili ma che godeva di una rispettabilità ai più preclusa? No!? Non c'è problema, c'è Brandon che lo rifà tale e quale e intanto vi racconta delle disfatta di Tyson contro Douglas nell'anno 1990. Brandon è l'apoteosi della nostalgia, Brandon sei tutti noi che amiamo passare il tempo con i vecchi album di fotografie!
Ne ha per tutti, questo benedetto ragazzo cresciuto con gli occhi abbagliati da Mtv. Per esempio, a un certo punto, decide di fare il verso a Chris Martin, da gran burlone, ma si mette di impegno e costruisce una perfetta canzone alla Coldplay, sinuosa, morbida, sussurrata, vuota, priva di significato, "Some Kind Of Love", ma intanto intorno son già tutti con lo smartphone acceso e c'è già qualcuno che sta facendo la ola commosso.
E anche quando non sa che pesci prendere, come accade in "The Calling", una sorta di "Personal Jesus" ancora più monocorde, riesce sempre a trovare la stanza giusta dove apparecchiare una tavola perfettamente imbandita. Ma il colpo finale è da autentici maestri: Brandon si chiede, ci chiede, magari fa anche un sondaggio, se "Have All The Songs Been Written?", una roba onestamente da brividi, perché la domanda è oggi più che mai attuale e legittima. E in attesa di una risposta rifà "Brothers In Arms"?! Ovviamente con Mark Knopfler alla chitarra.
Brandon Killers ha scovato la ricetta per divertirsi, divertire e fare un sacco di soldi, da reinvestire per il suo e il nostro divertimento: costruire dischi senza storia, senza alcun filo conduttore, senza un vero senso. Raccolte di brani, scritti bene, omaggi prodotti ed eseguiti con una tale maestria da sembrare originali, dotati di uno stile proprio. Brandon Killers, la lavatrice del pop, ha scritto il suo capolavoro. Ma vedrete che ne farà un altro.
08/10/2017