Il suono dell’organo, una voce angelica, parole innalzate verso l’arco del cielo con maestosa intensità: “I am the disease of man. I am the wasp elite”. Inizia così “Disease Of Men”, primo brano di questo esordio di Lingua Ignota (al secolo Kristin Hayter), artista e performer che quest’anno ha pubblicato anche un altro disco di tutto rispetto: “All Bitches Die”.
La “malattia dell’uomo” è quella di essere dominato da una volontà di potenza apparentemente senza limiti, da una tensione distruttiva che si abbatte, senza remore, contro la totalità degli esseri, viventi e non. Nel caso della “donna” Hayter, quella malattia si è tradotta in veri e propri abusi domestici, eventi dolorosi che ne hanno segnato il corpo e, soprattutto, la psiche. Per lei, l’uomo è semplicemente diventato il “nemico”. Alle scosse telluriche, che quegli abusi evocano in tutta la loro carica destabilizzante, fanno eco miraggi di purissima trascendenza, attraverso cui la Hayter si trasforma in un’abitatrice, per quanto sempre inquieta, di sfere celesti, gettando un ponte con le esperienze più abbacinanti della musica sacra. È il caso, ad esempio, di “Suffer Forever”, dove lo sfondo vibra ancora di bordoni d’organo, mentre le luci di una candela fioca illuminano, da qualche parte tra gli interstizi dell’anima, il volto austero e bellissimo di Nico.
Una violenta esplosione harsh-noise devasta la prima parte di “That He May Not Rise Again”, lasciando spazio, quindi, a una nuova invocazione del Divino, impreziosita dalla commovente declamazione di alcuni passi dello “Stabat Mater Dolorosa”, la preghiera che il “nostro” Jacopone da Todi scrisse nel XIII secolo. A un certo punto, poderosi rintocchi marziali e stridenti rasoiate di rumore annunciano che l’incanto è finito. Così, mentre la voce va trasformandosi in un rantolo bestiale, tutto degenera in abissi di dolore e di disperazione degni di Diamanda Galás. Quando, infine, la musica collassa, risolvendosi in un semplice ronzio, scopriamo la Hayter in lacrime, mentre chiede a Dio, con parole che s’ispirano al Salmo 140, di essere preservata dalla violenza dell’uomo:
Lord thou art my god — hear me!
Keep me o lord from the hands of the violent man!
Further not his wicked devices lest he exalt himself!
Let the evil of his own lips cover him!
Let burning coals fall upon him!
Let him be cast into deep pits that he may not rise again!
Messi alle strette da quello che è – almeno per il momento – il suo brano-capolavoro, oltre che uno dei momenti musicali più memorabili dell’anno, risorgiamo dentro le avvolgenti tessiture pianistiche di “The Chosen One (Master)”, scoprendoci immersi nel Vuoto. Presentata come una bonus track, la cover di “Bad Boys”, un brano reggae-pop degli Inner Circle (anno di grazia 1987), è invece ancora trasfigurata in diabolico incubo.
Al pari della “lingua ignota” utilizzata dalla religiosa medievale Ildegarda di Bingen come una sorta di linguaggio segreto e mistico, la musica rappresenta per Kristin Hayter un varco dentro le oscurità luminose della propria psiche (lei stessa si definisce una “performer di esorcismi”), lacerata da sofferenze e contraddizioni indicibili, ma non per questo priva di sublimi rapimenti estatici.
21/12/2017