Mount Kimbie - Love What Survives

2017 (Warp)
wave-tronica, alt-pop

I Mount Kimbie non sono mai stati personaggi particolarmente proni a seguire le regole, a inseguire trend e attitudini per inserirsi e dire la loro all'interno di generi ed estetiche codificate. Non c'è niente di sbagliato in chi lo fa, d'altronde sono davvero in pochi quelli che sanno piazzarsi al di fuori di logiche di questo tipo, ma per Dominic Maker e Kai Campos il discorso è sempre stato così sin dall'inizio, tanto che ogni definizione data sin dai tempi dei primi Ep difficilmente riusciva a catturare lo spirito alla base del suono escogitato dai due. Sette anni dopo il singolare “Crooks & Lovers”, con un secondo album nel mezzo che ha ulteriormente sparigliato le carte in tavola, spingendo verso sonorità ulteriormente ampliate nello spettro e un formato da band piuttosto insolito per un progetto elettronico, un album come “Love What Survives” ribadisce come per il duo il cambiamento e il ripudio di ogni forma di categorizzazione diretta siano l'effettivo marchio di fabbrica.
Non più chitarre ed elettroacustica, non un fritto misto electro e vagamente chill, a inquadrare le atmosfere e il sound del terzo full-length del combo inglese concorrono batterie vigorose (rigorosamente “vecchio stampo”), bassi agili e sinuosi, pattern ritmici rutilanti e collaborazioni vocali dalla grande eterogeneità, per una sorta di rivisitazione in chiave “art-tronica” della lunghissima stagione wave inglese e del kraut-rock, con tutte le sfumature e le intersezioni che questo incontro può assumere. A ben guardare, questo potrebbe rivelarsi addirittura l'episodio più spiazzante e radicale del progetto.

Wave e kraut-rock insomma, anche se la lettura che i due ne fanno al solito va ben oltre l'ortodossia stilistica. Se di certo le nuove coordinate sonore su cui i Mount Kimbie si impostano spingono ulteriormente il progetto a ridefinirsi in chiave bandistica, annullando molte delle cadenze da set che potevano ancora animare il precedente album, nondimeno l'assetto premia ancora una volta l'assoluta variabilità connaturata al percorso della coppia, facendo in modo che le ispirazioni rimangano un punto di partenza, piuttosto che un traguardo da adornare a piacimento. Anche a costo di qualche sbandata, di una mancata focalizzazione della complessa alchimia stilistica, il prodotto sa trasmettere senza alcun problema la sua natura estranea, la sua voglia di eversione rispetto allo stato dell'elettronica britannica contemporanea.
In questo senso, il notevole contributo dato dai collaboratori vocali, ancora una volta vecchie conoscenze del duo, è significativo nell'amplificare la variabilità delle direttrici, fornendo addirittura ulteriori spunti di lettura in un profilo espressivo già complesso di suo. La voce androgina e sottilmente nasale di Mica Levi esalta il complicato pattern di base di “Marilyn”, in cui una kalimba dal gusto tropicale si pone quasi di sghimbescio rispetto alle linee di chitarra e al serrato drumming di base, in un abbraccio che accoglie in maniera analoga energia e rilassatezza. King Krule rispolvera invece la natura più urbana e cruda del progetto Sub Luna City e della musica prodotta sotto il suo nome di battesimo per offrire ai Mount Kimbie la sua performance più dinamica e penetrante in “Blue Train Lines”, in una sorta di rifacimento in chiave motorik di certe tendenze britanniche inizio anni 80, adottando una strategia della tensione che non trova mai sfogo concreto.

Laddove vi sono anche momenti di maggiore riflessività e appianamento ritmico (i due episodi affidati alle peculiarità soul della voce di James Blake, qui assoldato nella duplice veste di accorato balladeer al pianoforte nella conclusiva “How We Got By” e di vocalist più spiritato nella slow-psych-jam di “We Go Home Together”), in una sorta di collegamento umorale con le prove di inizio decennio, il lavoro premia nella sostanza un discorso più stratificato dal punto di vista ritmico e sonoro, in cui a essere messe in risalto sono piuttosto le compenetrazioni tra i vari elementi. Anche se le commistioni non sempre rivelano chissà quale grinta (la progressione di basso di “Audition”, tra Siouxsie e i Bauhaus, non fa molto per lasciarsi contagiare dai filiformi contributi di synth circostanti, risolvendosi in uno strumentale che la Captured Tracks avrebbe amato), c'è comunque tutta la carne al fuoco necessaria per considerare il progetto artisticamente più vivo che mai. E chi lo sa, se l'allucinata evoluzione di “T.A.M.E.D”, tutta poggiata su una scheletrica e sorniona drum-machine, non sia l'occasione perché le intuizioni dei Young Marble Giants possano godere di nuova vita? La fucina Mount Kimbie è insomma più attiva che mai, tutt'altro che desiderosa di assumere una connotazione precisa: che sia la prossima trasformazione quella della consacrazione?

15/01/2018

Tracklist

  1. Four Years And One Day
  2. Blue Train Lines (ft. King Krule)
  3. Audition
  4. Marilyn (ft. Mica Levi)
  5. SP12 Beat
  6. You Look Certain (I'm Not So Sure)
  7. Poison
  8. We Go Home Together (ft. James Blake)
  9. Delta
  10. T.A.M.E.D
  11. How We Got By (ft. James Blake)




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