Paul Weller

A Kind Revolution

2017 (Parlophone)
rock-pop-soul, songwriter
7.5

Paul Weller, notoriamente, è artista poco incline all'autocelebrazione. Non ama crogiolarsi nelle glorie passate, si dice sia pure permalosetto. Narra la leggenda che dopo un filotto di dischi talmente rassicuranti e innocui da spingere critica e tabloid britannici a recensirli in termini di dad-rock, il nostro se la prese a tal punto da progettare la più perfida e sottile delle vendette: lui, da sempre acerrimo nemico dell'elettronica (epica la crociata contro il "technopoppismo" dilagante al sorgere dei Council) avrebbe dato alle stampe un disco intriso di rimandi al kraut-rock di matrice tedesca, flirtando con macchine e tecnologia per la prima volta a cinquant'anni suonati.

Oggi, la non eccelsa (eufemismo) riuscita dell'ultimo "Saturns Patterns" - una sorta di tributo abbastanza confuso e poco incisivo ai maestri sixties, che non ha lasciato in eredità canzoni degne di una qualche attenzione - deve averlo nuovamente turbato. D'altra parte, il Cappuccino Kid non è uno dei tanti. Non ci si può accontentare, vivacchiando in mezzo al gruppo come un Chris Martin qualsiasi. Qui c'è da difendere la reputazione di un monumento nazionale che ha avuto un impatto decisivo sulla musica inglese di intere generazioni. Urge un deciso cambio di rotta, una sorta di big bang da cui ripartire, e l'occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire: quest'anno si celebra infatti il quarantennale di "In The City", primo disco targato Jam di cui il Modfather era leader indiscusso.

Fregandosene della cabala (parliamo del tredicesimo lavoro solista), Weller festeggia l'anniversario come solo i fuoriclasse sanno fare: "A Kind Revolution", senza tanti giri di parole, è infatti il suo disco più riuscito da vent'anni a questa parte, una manciata di splendide canzoni dove scrittura e mash-up di rock, jazz, soul e funk (da sempre suoi marchi di fabbrica) tornano quelli dei giorni migliori.
Non tragga in inganno l'ossimoro del titolo, però, che qui di rivoluzionario in senso stretto c'è ben poco. I tempi eroici del Red Wedge sono ormai un ricordo lontano, nonostante l'attualità della Brexit, con cloni thatcheriani che avanzano minacciosi, vorrebbe Paul nuovamente sulle barricate. Piuttosto, tra candeline pronte per i 60 che si stagliano all'orizzonte e una tribù di compagne, ex-mogli e figli cui badare, l'attuale Weller-pensiero è meno incline alla ribellione ed è più un invito ad agire alla società nel suo complesso, stante la mancanza di politici in grado di affrontare i grandi temi sociali. In questi termini, quindi, va inquadrata la rivoluzione molto gentile e poco copernicana che dà il nome all'album.

Si aprono le danze con deciso piglio chitarristico condito di r&b e riff in puro rock'n'roll style di "Woo Se Mama", anche se poi nelle successive tracce prevale l'anima soul, con groove e ritmi che avevano fatto la fortuna di "Wild Wood". Per esempio, nella classica ballad "Long Long Road", materia per qualche best of a venire con un ritornello orchestrale che ti si appiccica in testa e non ne esce più. E se in "Nova" si riesce persino a cogliere qualche reminiscenza wave e una dedica nemmeno troppo celata a Bowie, con "She Moves With The Fayre" (ospite per un gradito cameo vocale e alla tromba il redivivo Robert Wyatt) ci riposizioniamo in ambito (acid) jazz, e inevitabilmente, tornano a galla le atmosfere del primo disco solista post-Style Council. "The Cranes Are Back" (il titolo del disco arriva da un verso del brano) è un altro lentaccio gradevolissimo in salsa jazz-gospel, il cui ritornello è quasi preso in prestito da quel gioiellino pop di "Everybody's Got To Learn Sometime" dei Korgis.

Siamo arrivati a metà disco, e già quanto ascoltato ne giustifica con sommo gaudio l'acquisto e il voto distinto. C'è ancora spazio per "Satellite Kid", una sorta di jam-session con le chitarre nuovamente in evidenza, e soprattutto "One Tear", disco-funk rallentato in duetto con Boy George. Nessuna sorpresa per la collaborazione, il Modfather apprezza la voce calda e sensuale del Boy da tempi non sospetti e non ha mai mancato di tesserne pubblicamente le lodi (a suo dire, una delle poche voci che si salvavano nel panorama musicale reietto dei primi anni 80).
Chiaro, il doppio uppercut consecutivo "Wild Wood/Stanley Road" rimane inavvicinabile e per certi versi non più ripetibile, ma questa "rivoluzione gentile" ha tutte le carte in regola per giocarsi il terzo gradino del podio, in un'ipotetica competizione discografica, con "As Is Now" del 2005. Weller è come quel ciclista consapevole che, non potendo più contare sull'esplosività dei giorni migliori, gioca d'astuzia affinando ulteriormente classe ed eleganza. Si torna così a guidare il plotone, dopo aver preso fiato, per la gioia dei sudditi della Regina. E non solo.

26/05/2017

Tracklist

  1. Woo Sé Mama
  2. Nova
  3. Long Long Road
  4. She Moves With The Fayre
  5. The Cranes Are Back
  6. Hopper
  7. New York
  8. One Tear
  9. Satellite Kid
  10. The Impossible Idea

Paul Weller - Jam - Style Council sul web

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