“Fotografia”, si diceva, è una minisuite che apre infatti alla grande l’album con un incipit trionfale debitore di “Red”, al quale segue la parte cantata, dalla melodia di sicura presa, e una serie di intermezzi e variazioni melodiche e ritmiche riempite con assoli di chitarra e basso, e una progressione finale prog potente, piena, un crescendo che coinvolge tutti gli strumenti, arricchita da dei virtuosismi di basso che non dimenticano mai di seguire una linea melodica ben delineata, caratteristica che si ripeterà nel corso dell’album dato che, spesso, Tosini e Paneroni si alterneranno negli assoli. Un brano completo di tutte le potenzialità della band.
Altri brani degni di nota sono la già citata “Una visione distopica”, un’altra mini-suite, con intro crimsoniano, riff e voce aggressiva, strati di chitarre effettate generosamente, a cui segue una parte languida jazz-prog moderna. Nei brani guidati dalla chitarra distorta si sente l’ispirazione wilsoniana, scevra della variante psichedelica, anche se la chitarra spesso tocca sonorità frippiane negli assoli, e tipicamente wave o pop anni 80 negli arpeggi, con abbondanza di chorus, delay e riverberi assortiti, mentre la batteria nella maggior parte dei casi pesta energicamente mantenendo alta la tensione di ogni brano.
Gli Accauno non disdegnano incursioni in altri generi, come nell’hard-rock muscolare in “Di terra” (con assolo di chitarra coatto ma misurato), una curiosa parentesi country-blues in “Memento”, o nella malinconica ballata “Un giorno ancora”, che sembra uscita dalla penna di Mike Rutherford nella seconda metà degli anni 70. Gli arrangiamenti dei brani vengono sovente arricchiti da un’elettronica capace di donare un tocco futurista, in accompagnamento ai testi e alla chitarra ipereffettata di Tosini, in brani come “No Comfort Zone”, forse il pezzo più pop del disco, e nella minisuite venata di psichedelia “Il manuale intergalattico”, altra vetta dell’album.
In chiusura uno strumentale, “Infezioni rapide”, cavalcata hard-prog guidata da una batteria dal suono grunge e impreziosita dai solo di basso del Paneroni e da una chitarra solista qui di stampo prettamente floydiano, o forse meglio dire wilsoniano.
In definitiva, un album ambizioso e ottimamente registrato, tenendo conto che stiamo parlando di un’autoproduzione, tendenzialmente retrò anche per questi ultimi aspetti solo parzialmente extra-musicali, in un periodo ormai troppo lungo durante il quale l’understatement del fai-da-te e l’intimismo della scena pop-rock spingono troppo verso il basso le pretese e gli sforzi sia di chi suona che di chi ascolta.
(08/02/2018)