Si fa presto a dire Satana. E' almeno dai tempi di Robert Johnson che i flirt col Maligno sono pane musicale quotidiano, ma oggi pochi ricordano chi furono gli sdoganatori di questa spensierata consuetudine. La risposta va cercata non in qualche spumeggiante epicentro controculturale, ma nella provinciale e reazionaria Indianapolis dove, nel lontano 1967, l'avvenente cantante Jinx Dawson fonda una band chiamata Him, Her And Them. Potrebbe essere uno dei tanti gruppi psichedelici dell'epoca e di fatto lo è, se non per un piccolo particolare: la loro poetica dribbla le ingenuità hippie per prediligere un immaginario a base di riti occulti, messe nere e sacrifici umani.
Per ribadire il concetto traslocano a Chicago, cambiano nome in Coven (le "congreghe" della religione Wicca) e iniziano a infarcire le loro esibizioni con una sfilza di pacchianate che manco Screaming Jay Hawkins, dal farsi portare sul palco dentro a delle bare all'incorniciare ogni performance con il gesto delle corna (un simbolo destinato a segnare l'immaginario collettivo, poi capitalizzato in moneta sonante da figuri come Ronnie James Dio o Gene Simmons). Questi impressionanti rituali creano grande curiosità intorno al complesso, portandolo ad aprire i concerti di Yardbirds, Vanilla Fudge e Alice Cooper (un po' il padre putativo di quella teatralità lugubre), ma soprattutto attirando l'attenzione di Bill Traut, boss della Dunwich e vecchia volpe della scena locale con cult-band come Shadows Of Knight e American Breed.
Convinto delle potenzialità commerciali del fenomeno, il produttore prende in mano la situazione, rimpolpa la formazione con una squadra di strumentisti e autori capitanati da Jim Donlinger (già negli Aorta, poi nei Lovecraft) e riesce a strappare un contratto alla Mercury, non prima di aver mandato tutti a ripetizioni di occultismo (Donlinger racconterà di aver composto gran parte del repertorio in un'unica giornata, dopo aver ricevuto dallo zelante Traut "uno scatolone pieno di libri sulla stregoneria"). Il risultato finisce nel 1969 su "Witchcraft Destroys Minds And Reaps Souls", primo album della band.
Il titolo non ci prova nemmeno a mascherare le proprie ispirazioni oscure, nei testi si tirano in ballo "patti con Lucifero" e "dignitari dell'Inferno" senza troppi giri di parole, ma è soprattutto il poster all'interno a far sensazione: la Dawson, nuda come mamma l'ha fatta, distesa sopra un altare sacrificale, attorniata dagli altri componenti che brandiscono croci rovesciate, torce e teschi, tutti con il già citato gesto delle corna ben in vista (prima attestazione documentata del suo utilizzo). Il sottofondo di cotanto sperpero simbolico dovrebbero essere i 13, martorianti minuti che chiudono il lavoro: una messa satanica con tutti i crismi, recitata per filo e per segno col tono distaccato di un manuale d'istruzioni.
Non si era mai visto nulla di simile, non tutto insieme quantomeno, e non così esplicito: è uno dei più eloquenti testamenti per le utopie del decennio, seppellite pochi mesi dopo dall'incubo a occhi aperti di Altamont, oltre che un misconosciuto esempio di dark ante litteram. Il riferimento non è più il classico "Magick" del buon vecchio Aleister Crowley, ma l'appena pubblicata "Bibbia Satanica" del Black Pope Anton La Vey, anche lui nativo della Windy City. Ed è il Gran Sacerdote in persona a invitarli al "Black Arts Festival", sorta di "Woodstock dei satanisti" da tenersi all'Olympia Stadium di Detroit la notte di Halloween di quell'anno: l'evento viene annullato per le prevedibili proteste delle organizzazioni religiose, ma per il gruppo è l'investitura definitiva.
Tuttavia, di lì a poco cominciano i guai, all'inizio solo musicali: il rock è sconvolto dai nuovi fermenti hard e prog che fanno improvvisamente sembrare vecchia la musica di Jinx e compari, mentre altre band a marcata vocazione "pagana" scavalcano le loro baracconate con un lessico ben più sofisticato (Black Widow, Cromagnon, Comus). La scena viene definitivamente rubata dall'arrivo dei Black Sabbath, legati ai nostri eroi da una serie di sorprendenti ancorché fortuite coincidenze (che tutti e due i loro esordi siano aperti da una traccia intitolata "Black Sabbath" potrebbe anche starci, ma che il bassista dei Coven debba chiamarsi proprio Oz Osborne sembra davvero uno scherzo male orchestrato...), generando una confusione che si risolve a vantaggio degli inglesi.
Il colpo di grazia lo assesta però la "famiglia" Manson, i cui omicidi trasformano la percezione del "culto di se stessi" da folklore pittoresco a minaccia criminale. Un'inchiesta dell'Esquire Magazine intitolata "Evil lurks in California", pubblicata nei primi mesi del '70, mette in correlazione i movimenti satanisti con la nuova ondata di violenza e cita proprio i Coven tra i "cattivi maestri". Lo scandalo che ne segue costringe la Mercury a ritirare dalla circolazione tutte le copie del disco e a scaricare senza troppi convenevoli il gruppo che, ormai allo sbando, si scioglie. Resusciterà l'anno seguente grazie all'inaspettato successo della cover di "One Tin Soldier", incisa per la colonna sonora di "Billy Jack" di Tom Laughlin, portandosi dietro due album dal sound più heavy e dai contenuti meno scabrosi, da segnalare più che altro per la produzione del leone Shel Talmy e il pionieristico videoclip di "Blood On The Snow" (prodotto, udite udite, dalla Disney!).
Sono gli ultimi fuochi del braciere infernale: lo scarso riscontro di pubblico e gli impegni della cantante come attrice e modella minano infatti la carriera della band, che ha comunque vivacchiato fino ad oggi nei panni dell'onesta reliquia (la prima capatina sul suolo europeo risale giusto all'anno scorso), anche grazie al riconosciuto primato della malefica Jinx come "original goth queen", modello per tutte le Diamanda Galas e Jarboe che verranno.
Tornando al controverso album del '69, si tratta solo di una bizzarria d'annata, in cui la curiosità del concept soverchia la qualità musicale? Sì e no: se il sound generale è in larga misura ordinario e riconducibile alla psichedelia del periodo (dai Blue Cheer ai Doors), la voce dell'anti-Slick Dawson è tra le più potenti di quegli anni, e le pur non originalissime composizioni sfoggiano comunque personalità ed energia. I testi oggi fanno un po' sorridere nel loro esasperato maledettismo, ma la ricchezza dei riferimenti (i Sette Demoni Babilonesi evocati durante "Coven In The Chairing Cross", la leggenda di Annie Palmer riassunta su "White Witch Of Rose Hall") dimostra quantomeno un discreto approfondimento della materia. Quanto alla velleitaria "messa" in chiusura, non si può non riconoscerle una buona dose di coraggio.
La prima ristampa autorizzata in cd risale al 2007 (anno di fondazione della loro label Nevoc Musick), mentre è di pochi mesi fa quella in vinile, in un'edizione limitata autografata da Jinx e in vendita solo ai concerti: il Proibito, d'altronde, bisogna pur sempre meritarselo...
08/12/2018