Thomas Jefferson Cowgill, in arte King Dude, torna con uno degli album più vari della sua carriera, capace di spaziare da forme di dark-folk a derive rock che mescolano con disinvoltura Johnny Cash, Tom Waits e Nick Cave. “Music To Make War To” è il settimo album del musicista americano ed esce anch’esso per Ván, label di area black-metal e sonorità liminari. Dopo le immersioni in territori gothic-rock del precedente album, “Sex”, troviamo Cowgill alle prese con l’evoluzione di uno stile personale e inconfondibile che lo ha reso una delle voci più apprezzate di area oscura, portandolo a collaborare nel corso degli anni con artiste come Chelsea Wolfe e Myrkur.
Il nuovo album si apre con “Time To Go To War”, struggente e melanconica ballata per organo e pianoforte. Qui la voce di King Dude dona un tocco funereo che ricorda un po’ il Cave più cupo e intimista, quello di “Your Funeral ... My Trial”, per intenderci. Continuando sul filo di una metafisica del conflitto, tema conduttore dell’album, il Nostro attraversa territori post-punk nella melodica “Velvet Rope”, brano dedicato all’amore autodistruttivo e soffocante, agli attriti e gli scontri che esso può produrre.
Nel brano successivo troviamo un’ispirata e sensuale collaborazione con Josephine Olivia: “Good & Bad” con il suo andamento lento e il suo sax che non sfigurerebbe nella colonna sonora di una puntata di "Twin Peaks". Il video girato a Berlino, luogo dove è stato registrato anche il disco, ci aiuta a entrare nell’universo “gotico” e luciferino tratteggiato da Cowgill. La sua musica ben si presta a dipengere atmosfere che evocano fantasmi del passato e ossessioni del presente. Sia il video di “Time To Go To War” dai toni più surreali e vicini a un immaginario estremo alla Joel Peter Witkin, sia quello di “Velvet Rope” che mette in scena le ombre materne di una casa avita, sembrano far parte di un universo iconico tanto coerente, quanto morboso e plumbeo.
Con “I Dont Write Love Songs Anymore” continuiamo a percorre il nuovo corso intrapreso da King Dude, tra scampoli wave anni Ottanta e un’ottima capacità di costruire melodie efficaci e orecchiabili ma senza risultare mai banale, mantenendo il proprio stile e appeal.
Nell’album non mancano momenti più aggressivi e punkeggianti come avviene in “Dead On The Chorus” e “The Castle”. Quest’ultima, in particolare, riecheggia un po’ il sound di gruppi come The Adverts, mostrando anche una certa conoscenza della materia. In “Twin Brother Of Jesus” invece prevale l’animo più folk-blues apocalittico vicino al Cave più ossessionato da tematiche religiose e alcoliche. Non a caso il look di Cowgill ricorda sempre di più un incrocio tra il predicatore evangelico di “The Night Of The Hunter” e Charles Bukowski.
Le vere novità però sono “In the Garden” e “Let It Burn”. La prima è una sorta di spaghetti western in salsa funk che si muove sui binari di un blues elettronico che evoca visioni di un’America profonda. La seconda continua sulla scia di una colonna sonora alla Morricone ma in versione dub. Pur se apparentemente lontani da territori neofolk, i due brani suonano in pieno stile King Dude e donano varietà al lavoro senza snaturare troppo la proposta.
“God Like Me” riprende l’atmosfera iniziale dell’album chiudendo il cerchio di un lavoro che mostra le molte potenzialità di un autore che ha trovato una propria e personale via al neofolk americano, introiettandone la visione ma senza cadere negli stereotipi del genere. “Music To Make War To” incarna un po’ lo spirito della frontiera, di quello che ne è rimasto almeno, un immaginario in cui il conflitto e la lotta tra bene e male sono sempre presenti e la guerra è una condizione dell’anima.
18/09/2018