Kink Gong

Dian Long

2018 (Discrepant)
field-recordings, sound-collage, glitch

Ancor più che i tanti altri paesi dell'Estremo Oriente interessati dal suo sguardo affilato e privo di compromessi, la Cina costituisce per Laurent Jeanneau il vero punto focale del suo peculiare percorso nell'ambito dei field-recordings, il proverbiale luogo del delitto che irretisce e repelle allo stesso tempo, senza particolari sfumature intermedie. Paese dai profondi contrasti e dai retaggi culturali antichissimi, questo ha visto in Kink Gong e nella sua estrema capacità di osservazione un fine esegeta e un abile narratore, forte di una grande libertà di sguardo e approccio. D'altronde, la molteplicità di pubblicazioni dedicate alla grande potenza asiatica, ciascuna concentrata nell'approfondire un suo particolare aspetto, testimonia il rapporto duraturo che unisce l'artista francese ai popoli e alle culture riuniti sotto la banderia della Repubblica Popolare Cinese.

È proprio su questo rapporto, denotato da tensioni stridenti e da un amore/odio senza possibilità di risoluzione, che si incentra l'ultimo lavoro del compositore e recorder transalpino, un doppio vinile che prova a immortalare questo scontro emotivo attraverso un uso delle registrazioni tra i più spregiudicati e appassionati in circolazione. Frutto del recupero di vecchie annotazioni sonore tenute in serbo dall'inizio del Millennio, le tracce di "Dian Long" ("dragone elettrico" in cinese, uno dei primi moniker di Jeanneau) accentuano il forte contrasto concettuale del lavoro dividendosi con assoluto criterio nella forma, nell'espressività e nelle intenzioni, componendo un dittico le cui metà si scontrano e si completano in totale equilibrio. Quanto ad ambizione, Kink Gong si è letteralmente superato.

Interessato a mostrare profili della Cina lontani dal cartolinismo con cui di solito viene dipinta, anche da parte di chi magari ha avuto modo di entrarci a più stretto contatto, Jeanneau si immerge nella vita e nei costumi del paese con uno sguardo critico e un'impostazione tutt'altro che "obiettiva", tesa a conferire un'esperienza totalmente soggettiva, piena di filtri intrinseci. D'altronde è lo stesso artista a mettere in chiaro la questione sin da subito. Profondamente disgustato, a suo dire, dalla "crudele tendenza della Cina moderna di abbandonare la tradizione per abbracciare la cultura dei lustrini", alla ricerca di quella realtà dimenticata troppo rapidamente e con troppo disprezzo, il Nostro intercetta all'interno del suo lavoro questa doppia dinamica, suddividendola con assoluto rigore tra i due vinili. I titoli, d'altronde, lo certificano immediatamente. "Soundscape China", costruito da frammenti e ricombinazioni di registrazioni già pubblicate oltre un decennio addietro, costituisce quindi il lato "positivo" della medaglia, una sorta di glorificazione e commossa testimonianza di quel mondo dato per morto, ma ancora vivo e vegeto oltre il caos delle grandi metropoli cinesi.

Scenari di vita quotidiana nello Yunnan e nel Guizhou, dalle esercitazioni scolastiche mattiniere all'usuale viavai dei negozi, da frammenti di annunci pubblicitari a spezzoni interi di pellicole e di opere teatrali, diventano quindi l'alveo sonoro attraverso cui Kink Gong esprime il suo amore e ammirazione nei confronti di un contesto raramente immortalato da soundscaper e musi-antropologi vari, foss'anche in forma più neutra. È anche per questo motivo che gli interventi di Jeanneau, per quanto consistenti e ben assestati, in questa metà del lavoro risultano decisamente più docili, parte integrante del discorso narrativo piuttosto che momento di rottura e dissoluzione.
Sipari glitch, frammenti rumoristici, piccole scansioni elettroniche dal tocco quasi technoide diventano quindi strumenti di raccordo, nonché giochi di colore che intensificano la forza comunicativa della composita scenografia inquadrata per l'occasione, quasi si trattasse di un gioco in realtà aumentata. A loro modo, gli aggiustamenti apportati dal compositore sul canovaccio di base riescono a conferire qualità musicali sorprendenti, in una sorta di commento sonoro sottinteso alla poetica quotidianità intrappolata dai nastri del francese.

Ben diverso è il discorso per quel che riguarda "Destruction Of Chinese pop". Se il titolo non riuscisse a esplicitarlo con sufficiente chiarezza, il secondo vinile del lavoro è dedito a demolire, senza grosse cerimonie, un intero universo osservato da Kink Gong con autentico disgusto e sconforto, un paradigma musicale (e in senso più ampio sociale) da spazzare via, disintegrare nel modo più plateale possibile. A prescindere da come la si possa pensare sul tema, non c'è alcun dubbio che Jeanneau si sia applicato con grande abnegazione nel compito, al punto da concepire un vero e proprio fratello oscuro del primo vinile, con tutti gli annessi e connessi che ciò comporta.
Laddove l'inquadramento, per quanto perfezionato e guidato, del contenuto di "Soundscape China" non aggrediva la materia della registrazioni, lasciandola comunque esprimersi nella sua pienezza antropologica, il secondo disco viaggia invece sulla strada del mascheramento, della devastazione, concedendo solo in rari momenti qualche barlume che possa dare un'idea più ampia dei riferimenti prescelti.

Attraverso un trattamento glitch il più delle volte monolitico, ossessivo, spesso al confine col rumore bianco, il francese stupra e stravolge motivetti pop e folk senza alcun riguardo, talvolta lasciando intravedere uno scheletro o una parvenza melodica, molto più spesso invece privando l'ascoltatore di ogni possibile stampella, in una furia distruttrice che degli spunti di partenza non conserva nulla. Il brano finale, affidato alla registrazione di un dozzinale pezzo dance diffuso da un ghettoblaster saturissimo, completa il quadro con un pizzico di ironia beffarda, per una sorta di chiosa utile a giustificare il massacro messo in atto. A Jeanneau lo spirito narrativo non difetta affatto.

Si potrà obiettare che il dualismo messo in atto porti a una contrapposizione fin troppo netta, a una suddivisione tematica che non dà troppo spazio a sfumature. C'è da dire che però l'intento di Kink Gong non sta nel voler sollevare particolari riflessioni, quanto invece nel proporre la personale visione di un paese vissuto e calcato nella sua interezza, a cui anche per questo motivo non concede sconto alcuno.
Faticoso, talvolta irritante, ma a suo modo attraversato da un peculiare senso della poesia, il dragone elettrico di Laurent Jeanneau conferma quindi il talento e la singolarità di un soundscaper sui generis, ben poco prono a canoni e regole. Raramente i field-recordings sono parsi così comunicativi.

03/05/2018

Tracklist

Vinile 1 - Soundscape China

  1. Soundscape China (Part 1)
  2. Soundscape China (Part 2)

Vinile 2 - Destruction Of Chinese Pop

  1. Ba
  2. Wo
  3. Hit
  4. Qin Qin
  5. Jing Jiu
  6. Shanghai
  7. Ji
  8. Skip
  9. Meyo Pangfa
  10. Ping Tan
  11. Bai Street Dance


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