Da quindici anni a questa parte sono stati ben pochi gli incontri in studio fra Keith Rowe e John Tilbury, veterani dell’avanguardistica esperienza AMM, collettivo inglese che dalla fine degli anni 60 ha dato forma e sostanza all’arte della libera improvvisazione musicale. Chitarra elettrica e pianoforte della formazione, la loro discreta e intransigente impronta sonora rimane tuttora inconfondibile ovunque essa si manifesti.
Come duo, dicevamo, le loro sporadiche performance si sono quasi sempre svolte in seguito a un lutto, a mo’ di memento riflessivi: album come parentesi di silenzio e gesti parsimoniosi, perlopiù fugaci ma in certi casi anche violenti e perturbanti; accadeva così nel primo “Duos For Doris” (Erstwhile, 2003), dedicato alla madre di Tilbury, mentre per quella di Rowe un lungo iato fra i due artisti aveva ispirato un più radicale understatement (“E.E. Tension And Circumstance”, Potlatch, 2011).
Ma a ben vedere lo stesso quadruplo set di tre anni fa, “enough still not know” (Sofa, 2015), era forse interpretabile come un’ingombrante pietra tombale posta sull’espressione musicale comunemente intesa: col passare degli anni entrambi hanno portato all’estremo un linguaggio della riduzione, alfine declinato in ore e ore di paziente attesa, durante le quali i suoni sembrano germogliare spontaneamente negli interstizi di un vuoto che altrimenti non aveva senso riempire. Tale assolutizzante saggio di non-musica è stato prodotto dal videoartista Kjell Bjørgeengen, per la seconda volta dal 2010 membro dell’occasionale trio di “Sissel”, licenziato dalla norvegese Sofa.
Registrata nel gennaio 2017 al festival Moving Sounds di Stavanger, la session è in questo caso intitolata alla memoria della moglie di Bjørgeengen, venuta a mancare poche settimane prima. Pur non contemplando prove generali prima delle esibizioni, Rowe e Tilbury hanno accolto la suggestione visiva che l’artista scandinavo ha proposto come “immagine-guida” della performance: si tratta di un dipinto di Nicolas Poussin, "Paesaggio con le ceneri di Focione" (1648), conservato presso la Walker Art Gallery di Liverpool. A narrare la vicenda storica del soggetto fu Plutarco nelle sue “Vite degli uomini illustri”: il generale ateniese Focione, accusato ingiustamente di tradimento dai suoi avversari politici, nel 318 a.C. fu condannato a morte per avvelenamento e non gli fu permesso di essere sepolto in patria; la sua vedova ne dispose dunque la cremazione alla periferia di Megara, dove è ambientata la scena raffigurata dal classicista Poussin, artista tra i più rinomati del suo tempo.
Anche soltanto uno sguardo fugace rivela il senso generale dell’olio su tela: sebbene la figura femminile, chinata a raccogliere le ceneri del caro estinto, sia posta in primo piano rispetto a tutti gli altri elementi, la sovrastante imponenza della polis e delle formazioni montuose sullo sfondo catturano lo sguardo e lo indirizzano verso il punto di fuga; oltre a ciò, come nei celebri capolavori di Bruegel il Vecchio, gli abitanti del luogo proseguono nelle loro attività quotidiane di sempre, mettendo così in prospettiva gli eventi più significativi e le tragedie individuali che si consumano a poca distanza.
Per vie laterali, dunque, si esplicita lo spirito con cui i tre performer si sono approcciati anche stavolta ai loro strumenti, paradossalmente atti a esprimere un’incomunicabilità dalla quale risulta impossibile svincolarsi. Dichiara lo stesso Keith Rowe: “In questa direzione si è mossa la mia musica nell’ultimo decennio, un muto grattare in primo piano, e il chiacchiericcio e il rumore della vita umana vagamente da qualche parte sullo sfondo”. Il suo è, tipicamente, un tappeto di ronzii, fruscii e interferenze elettroacustiche generate dalla preparazione e amplificazione della chitarra: variazioni su un tema senza traccia di tonalità, talvolta ruvido e pervasivo, talaltra quasi del tutto inudibile. La caratterizzazione emotiva spetta al solenne e malinconico pianoforte di Tilbury, forse mai così “presente”, limpido e risonante prima d’ora, in perfetto equilibrio tra il distacco zen di Cage e la dilatazione temporale di Feldman portata all’estremo.
Benché di natura prettamente visiva, l’intervento di Bjørgeengen ha diretta derivazione dai suoni prodotti dai due musicisti: nel corso degli anni si è infatti dedicato alla creazione di “flicker video”, forma elementare di alternanza caotica tra bianco e nero, luce e buio, simile all’effetto statico dei vecchi televisori in assenza di segnale. Le frequenze audio del piano e della chitarra distorcono in tempo reale la sequenza di frame minimali proiettata sullo schermo, nervosa e allucinata rielaborazione di un vuoto contatto tra input binari artificiali.
Lo spirito della circostanza performativa si esprime anche nella consapevolezza che, nel corso della performance, una registrazione della "Ciaccona" di Bach (nell’interpretazione della pianista Tatiana Nikolayeva) viene riprodotta a volume spento, ed è quindi al contempo presente e assente nello spazio fisico e acustico. Ma solo negli ultimi cinque minuti si crea una vera attesa, un silenzio gravido di coscienza artistica e autocontrollo, dissolvenza naturale in direzione del ritorno alla vita reale e vissuta.
L’intenso memoriale di “Sissel” ci consegna una volta di più l’interrogativo, anzi il mistero, per cui un dialogo strumentale così quieto ed ermetico riesca a essere, a suo modo, struggente a un livello così puro e primordiale, nonché capace di lasciare emergere in maniera trasparente la profonda umanità dei suoi fautori. La risposta – se c’è – risiede nell’ascolto stesso, e in nessun altrove.
29/05/2018