Qualche mese fa, quando Andrea Appino - appena terminato il lungo tour promozionale de “La terza guerra mondiale” - ha comprato un paio di casse di birra e si è rinchiuso dentro casa per iniziare a riempire di parole i tanti bozzetti strumentali già proposti al resto della band, si è presto reso conto che dalla propria penna stavano uscendo spunti più personali del solito. Il materiale andava a comporre un puzzle di quadretti familiari innestati in ambienti di provincia: mamme, padri, nonne, fratelli, sorelle, ex-fidanzate, amanti e una narrazione che donava all’insieme l’aspetto di un concept dei nostri tempi.
Nulla di tutto ciò è considerabile una novità, né i racconti familiari né il filo conduttore che lega le canzoni fra loro, entrambi una costante nella poetica degli Zen, basti ricordare “Canzoni contro la natura”. Lo scatto di Ilaria Magliocchetti Lombi scelto per la copertina immortala bene l’atmosfera, con tanti particolari ben studiati, le mani, gli occhi, i quadri appesi alla parete e quel fuoco in una stanza che idealmente potrebbe rappresentare un rassicurante focolare domestico oppure, al contrario, un incendio che divampa nell’animo dei protagonisti, questione che le liriche non intendono chiarire.
Per gli Zen Circus “Il fuoco in una stanza” è un lavoro meno immediato del solito, nuova tappa della graduale trasmutazione del combat folk-punk degli esordi in un più elettrico (ed eclettico) alt-rock multicolore. Ma è anche un disco che in qualche modo segna un ammorbidimento dei temi, nel quale si parla di sentimenti per lasciare quasi del tutto da parte politica o istanze ecologiche, nel quale l’impegno sociale della band - divenuta un quartetto con l’ingresso ufficiale del Maestro Francesco Pellegrini – riguarda in particolare i rapporti interpersonali e il relazionarsi delle persone con il mondo esterno.
Un disco meno immediato, sì, ma con il passare degli ascolti queste tredici tracce si infilano dannatamente sotto pelle, tracciando un solco ancor più netto rispetto a quanto accadeva in passato: dovendo trovare una parola per descriverlo potremmo scegliere “infettivo”, sì, è un album che crea dipendenza, che cattura, con tante piccole trovate nascoste dietro ogni angolo.
Prendete “Questa non è una canzone”, la traccia più strutturata del disco, oltre otto minuti suddivisibili idealmente in tre parti, forse il brano chiave: nella sezione centrale, quasi nascosto, quasi a volerlo proteggere, si staglia un crescendo epico che parte con una linea di basso, sulla quale a ogni giro viene aggiunto uno strumento o una linea vocale, dando vita a un giro armonico circolare che diventa via via maestoso, richiamando certo pop anni 60.
Il decimo disco firmato Zen Circus è anche il loro più variegato, con dentro molte più influenze del solito: dall’inarrestabile flusso di rime e assonanze de “Il mondo come lo vorrei” alle ballad in odore di Sanremo (“La stagione”, la title track), dalle introspezioni di “Catene” ai chitarroni Marilyn Manson style de “La teoria delle stringhe”, dai brani che faranno saltare il pubblico in aria durante il prossimo tour (“Low Cost”, “Quello che funziona”, un omaggio alla capitale) a una “Emily” che rilancia la tradizione delle figure femminili, fino alla sentita chiusura per voce e piano “Caro Luca”.
E poi gli insospettabili baustellismi innestati fra le pieghe di “Sono umano” (sentite un po’ il solo finale), “Panico” (dove ci sono anche gli anni 80 dei Cure) e soprattutto “Rosso o nero”, che contiene forti similitudini con l’attitudine eighties pop rilanciata con “L’amore e la violenza”.
I testi di Appino spesso trovano soluzioni irresistibili (“Vieni a trovarci all’obitorio/ Ti abbiamo prenotato un tavolo/ Il dj set qui è fantastico/ Salvati da questo mortorio”, canta in “Sono umano”), il risultato di una foga compositiva che ha fatto allungare il minutaggio del disco sempre più, portando la band ad aggiungere ulteriori tracce e frammenti fino a lavori praticamente conclusi.
Dopo tanti dischi apprezzati sia da pubblico che critica, ma a loro modo “normali”, il Circo Zen realizza con “Il fuoco in una stanza” il proprio lavoro migliore, il più completo, il più eterogeneo, reso ancor più forte da un’idea centrale nitida e caratterizzante, e per la prima volta senza alcun riempitivo.
Non si tratta più di raggiungere la maturità compositiva, quella è stata conseguita da tempo, si tratta piuttosto di porre il sigillo al completamento di un percorso che li pone sullo stesso livello delle più importanti band del circuito indipendente italiano degli ultimi trent’anni.
04/03/2018