Ritorna Amanda Palmer dei Dresden Dolls per quello che è ufficialmente il suo terzo album solista (se si escludono le numerose collaborazioni pubblicate negli ultimi anni). "There Will Be No Intermission" segna un concept meditato e fortemente crudo nelle sue tematiche, dove l'artista statunitense mette assieme spunti e idee raccolti durante questi anni. Il risultato conferma le aspettative positive riposte in lei ma con qualche neo.
La struttura dell'album vede alternarsi lunghi pezzi guidati dalla dolente voce di Amanda Palmer e dai suoi tenui rintocchi di pianoforte o da un ukulele scarnificato, a brevi interludi strumentali di pochi secondi appannaggio del collaboratore Jherek Bischoff. In due casi si superano anche i dieci minuti: "The Ride", toccante e atmosferica, e "A Mother's Confession", un colpo allo stomaco sulle difficoltà della maternità - forse l'apice emotivo dell'album.
Rispetto al precedente album "Theatre Is Evil", questa volta la Palmer adotta un approccio più riflessivo, con arrangiamenti più orchestrati attorno a lei, ma paradossalmente mettendosi meno in mostra, come se si richiudesse nel proprio lato più intimista lasciando che sia l'ascoltatore a bussare per scoprirne i contenuti. I contributi degli ospiti sono più dosati, facendo suonare il disco ancora più solista del suo predecessore, in cui c'era più equilibrio con gli altri strumentisti. Ciò rende il lavoro molto personale e cantautoriale, nonché variegato, spaziando da un indie-rock alienante ("Drowning In The Sound") a un folk-pop acustico ("The Thing About Things"), senza stonare tra le varie sonorità.
A livello tematico la Palmer è espressiva ed eterogenea, toccando argomenti come l'aborto ("Voicemail for Jill"), la morte ("The Thing About Things"), l'idealizzazione della figura materna ("A Mother's Confession"), le difficoltà adolescenziali (la dolce ballata di pianoforte "Judy Blume") e molto altro.
Il lato negativo dell'album, però, risiede in un'eccessiva autoindulgenza che lo porta a dilungarsi troppo, anzitutto perché i brani cantati vengono prolungati più del necessario (episodi come "Bigger On The Inside", ad esempio, partono gorgoglianti di emozioni, ma si stemperano per la ripetitività conclusiva). Un minutaggio più contenuto degli stessi avrebbe giovato in freschezza e incisività; come si suol dire, less is more. Al contrario, gli interludi suonano come riempitivi poco consistenti, che sarebbe stato interessante approfondire per rafforzare il potenziale atmosferico dell'opera, ma che scorrono via senza arricchire granché il songwriting. La Palmer in tal senso non ha reso alla perfezione l'equilibrio dell'album.
Ciò nonostante il lavoro nel complesso è senza dubbio riuscito, ed è consigliato a tutti i fan di Amanda Palmer, ma anche a chi cercasse un lavoro cantautoriale guidato da una forte personalità e che affronti temi sociali delicati, soprattutto per quanto riguarda le spesso fraintese esperienze femminili nel mondo attuale, la vita e la morte.
03/04/2019