Formazione country spesso ai confini del pop, i Felice Brothers si distinguono all’interno della scena musicale americana per i contenuti dei loro testi, mai inclini al giovanilismo spensierato di molte band affini. Dopo l’avventuroso e poetico ritorno in scena dell’ex-membro Simone Felice, fratello di Ian e James, anche il gruppo newyorkese, dopo tre anni d’assenza e dopo aver perso altri due componenti storici - Josh Rawson e Greg Farley - riprende il cammino, ritornando a raccontarci, con testi pungenti e sferzanti metafore, quel che nel frattempo è cambiato in America dopo l’avvento di Trump.
“Undress” è il beffardo invito che la band rivolge a tutti i politici (repubblicani e democratici), agli evangelici, al Pentagono, ad anarchici e industriali, alla Bank of America e persino alla consigliera del presidente americano, Kellyanne Conway.
Spogliarsi è per i Felice Brothers una necessità morale e fisica, un viatico indispensabile per uscire dall’ambiguità dei tempi correnti, ovvero mettere a nudo le contraddizioni di una società che sta vivendo una delle pagine politiche più turbolente degli ultimi anni.
A far da colonna sonora all’amara riflessione è quel linguaggio musicale che Bruce Springsteen e The Band hanno trasformato nella voce dell’America: un country-rock dai toni blue-eyed-soul, estroverso, vivace, tra riff epici e un tripudio di fiati e ritmi che invocano spensieratezza (“Undress”). Ed è con la stessa disinvoltura che il vivace pop sing along di “Special Announcment” mette in musica lo slogan “sto mettendo da parte i soldi per diventare presidente”, una provocazione che si rinnova con toni più sardonici nel trascinante garage-pop da cabaret di “Salvation Army Girl”.
Musicalmente “Undress” è poliedrico e versatile: la natura pop della formazione americana non viene mai meno, anche se il pregevole accordo blues di “Holy Weight Champ” e il quasi gospel di “Poor Blind Birds” offrono una profondità espressiva allettante.
Ci sono momenti in cui la band mette a nudo non solo le contraddizioni della moderna società, ma anche della tradizione musicale americana. Con l’aiuto di pochi accordi di piano e fisarmonica, i Felice Brothers dichiarano di avere paura della morte (“Nail It On The First Try”), svelano sentimenti ancestrali e intimi su scarne note country-blues (“Days Of The Years”), intonano una festosa square dance (“Jack Reminiscing”), senza rinunciare a testi fortemente allegorici anche quando la musica si fa più corposa (“Tv Mama”).
È intenso il contrasto tra il malinconico racconto a suon di banjo, fisarmonica e percussioni sul ritorno a casa di un prigioniero “Hometown Hero”, e quello più tenebroso e malsano di un reduce di guerra che torna in patria solo per uccidere (“The Kid”). Ed è ricco di presagi il suono del french horn che rende suadenti le note della conclusiva “Socrates”: quel che si consuma è l’atroce condanna a morte di un cantautore, un impavido difensore della libertà che fino alla fine non cede al potere (“mi hanno accusato di scrivere canzoni, sono stato condannato a morte, ho 24 ore di vita […] non cercare vendetta, non portare fiori nel mio letto, non ne avrò bisogno quando sarò morto [...] salute al tiranno, salute allo stato moderno, salute al dollaro, salute allo stato moderno”).
A un ascolto fugace il nuovo lavoro dei Felice Brothers può sembrare solo l’ennesimo album country-rock di buona fattura. Al contrario, le storie sono amare, struggenti, anzi beffardamente coraggiose, e appare chiaro che il carattere estroverso di “Undress” è un artificio utile per poter affascinare quanti più ascoltatori possibile, svegliandone le coscienze senza renderle malinconiche.
Un raggio di luce nell’oscurità.
03/06/2019