Di cantautrici capaci di sbalordirci con un sound tutt’altro che stereotipato ne abbiamo conosciute parecchie durante gli ultimi anni, pensiamo ad esempio a Chelsea Wolfe o alla più complessa personalità artistica di Anna von Hausswolff. Kristin Hayter (in arte Lingua Ignota) è riuscita però ad alzare l’asticella della follia, allargando questa percezione attraverso un background privo di punti di riferimento, capace di spaziare dalla musica sperimentale tout court al noise più abrasivo, integrando questa formula con squarci di gothic, di death-industrial o di altre componenti più o meno inquietanti legate alla musica estrema e non.
“Caligula” è un disco che ti spinge alla pazzia, non a caso è racchiuso dentro un titolo che è tutto un programma: ma quella di Kristin (americana del Rhode Island) è una lucida e consapevole discesa nel caos, dentro un sacro che diventa profano e viceversa, una liturgia contaminata da scorie apocalittiche impossibili da smaltire.
La quiete del brano di apertura “Faithful Servant Friend Of Christ” è ben poco rassicurante, perché emergono fin da subito oscure vibrazioni che lasciano pensare a un vecchio rituale arcano. Una tempesta che si palesa nella successiva, monumentale “Do You Doubt Me Traitor”, nove minuti abbondanti che riassumono la solennità di un album spaventosamente bello: quando l’organo fa la sua comparsa, si aprono delle strade di cui raramente conosciamo il percorso, perché Lingua Ignota può stravolgere ogni nota portandoci nel giro di pochi secondi dal paradiso all’inferno. Così Nico incontra Diamanda Galás in uno straziante grido di dolore che sconfina addirittura nel black metal. Quella di Kristin è una voce che lascia tante cicatrici.
"Butcher Of The World" (citazione non troppo velata per Henry Purcell, già ripresa in "Arancia Meccanica") potrebbe essere un pezzo degli Mz.412, ripulito però dalla nera corteccia ambient-satanica. Lingua Ignota vomita fuoco sopra un tappeto di nervose sensazioni, per poi ricomporsi nella soave parte conclusiva, la catarsi dopo la possessione. C’è anche un fil rouge neoclassico in questi arrangiamenti, in quelle note di pianoforte spesso sostenute dalla magia di chi conosce bene la materia che sta trattando: insieme a Kristin collaborano infatti personaggi del calibro di The Body e Uniform (tra gli altri), nomi che sono stati capaci di approcciare l’estremo sempre in maniera colta e intelligente.
A differenza dei due precedenti lavori usciti entrambi nel 2017, “Caligula” offre molta più varietà, suddivisa in ben undici tracce. Anche per questo motivo non illudetevi di poter assimilare questo full-length dopo un paio di ascolti, perché la complessità di Lingua Ignota è palpabile e non evapora neppure se colta nelle sue profondità.
Trovano posto in scaletta alcuni passaggi meno ostici (come la ballata “Fragrant Is My Many Flower’d Crown”), ma il tepore lascia presto spazio alle tenebre (“If The Poison Won't Take You My Dogs Will”) o alla disperazione (“Day Of Tears And Mourning”), altri due pezzi da novanta dell’album.
Scorrendo la tracklist, incontriamo un fulmine che risponde al nome di “Spite Alone Holds Me Aloft”, l’ennesimo capovolgimento di fronte che ci catapulta in un baleno dall’attesa alla tragedia, dalla vita alla morte. Qui Lingua Ignota tocca vertici malsani di claustrofobia, di puro orrore in vista della fine dei tempi. Non poteva invece esserci (auto)celebrazione migliore per la conclusiva “I Am The Beast”, un titolo che penetra nell’essenza più sincera di questo progetto, toccando le corde più intime dell’artista statunitense:
Beast he named me, beast I am, I am grief. Come claim me, come claim me, come claim me. All I want is boundless love, all I know is violence, violence, all I know is violence, violence violence violence.Dal tormento nascono i fiori, dalla sofferenza nasce la bellezza. “Caligula” proviene direttamente dal cuore, un cuore ferito da mille coltellate che però batte più forte di tanti altri.
01/08/2019