Good day. We are Shellac of North America, and we’re dedicating this session – and probably the rest of our career – to John Peel.
Quindici anni dopo la morte del grande conduttore radiofonico inglese, gli Shellac non si sono dimenticati di colui che è stato, oltre che un guru della musica indipendente, uno spirito affine all’incorruttibile visione artistica di Steve Albini – l’uno con le rinomate session via etere, l’altro con la fucina discografica a marchio Touch and Go. “The End Of Radio” celebra dunque un’epoca, una linea di pensiero e d’azione, la sopravvivenza di un’eredità più che ricca, inestimabile.
Venticinque anni fa, nei Maida Vale Studios della Bbc (di prossima e definitiva chiusura), la prima comparsata del trio d’assalto, fresco di stampa con “At Action Park” e pronto a demolire i canoni del verbo hardcore. Appena undici minuti ma di abrasione totale, quattro tracce delle quali solo “Crow” – capolavoro minimalista in tensione costante – proviene dall’esordio in studio, mentre le altre avrebbero dovuto attendere l’inclusione nei successivi “Terraform” (1998) e “Excellent Italian Greyhound” (2007).
Di fatto “Canada” e “Disgrace” sembrano gemelle, la seconda il reprise accelerato della prima, ugualmente stizzite e taglienti come solo i nostri sanno condensarne la violenza. Curioso che la breve “Spoke” sia stata rimandata a una fase molto più avanzata del loro percorso, pur trattandosi di una cavalcata che riporta a stilemi post-punk a loro precedenti. Sin da allora l’incisione è circolata in forma di bootleg, perciò questa ne è a tutti gli effetti la prima stampa ufficiale.
Quindici anni fa, invece, la seconda session dal vivo trasmessa pochi mesi dopo la scomparsa di Peel. Un vero e proprio concerto di cinquanta minuti con un ristretto pubblico in sala: e dev’essere stata davvero una sorta di epifania poter ascoltare proprio “The End Of Radio”, grottesca serie di prove di trasmissione in forma di tre accordi ossessivi al basso, silenzi e ritmi spezzati alla batteria, e una voce che ripete “Can you hear me now?”, come picchiettando sulla quarta parete della già agonizzante forma-canzone. Questo e altri due sono anticipi dal venturo “Excellent Italian Greyhound”: qualche inedito arpeggio in clean alleggerisce il peso specifico del cupo strumentale “Paco”, mentre “Steady As She Goes” riattinge alla più pura e tormentata furia novantiana del trio.
“Non vedo l’ora di ascoltare il merdoso bootleg in mono di quella canzone, sarà fantastico”: Albini si rivolge a un astante che ha ben pensato di registrare su cellulare una copia personale del concerto. Ma è il momento di sferrare gli ultimi tre colpi decisivi della sessione, con una versione estesa del singolo “Billiard Player Song” (sul datato 7 pollici intitolato “The Rude Gesture (A Pictorial History)”) e due classiconi dal miliare debutto: “Dog And Pony Show” e “Il Porno Star” sono tra le epitomi del loro asciutto e affilato sadismo sonico, formula aurea alla quale risulta tuttora difficile attribuire gli anni che porta sulle spalle.
Contro ogni aspettativa storica, il medium radiofonico non soltanto è sopravvissuto ma si evolve e perdura in nuove forme, nelle dirette via web e nei podcast. Ma certe storie, indubbiamente, meritano ancora il nitore acustico e la confezione del supporto fisico. Tra le migliaia (!) di pubblicazioni che hanno eternato il lavoro e la passione di John Peel non poteva mancare l’eccentrico contributo degli Shellac, da sempre paladini dell’esecuzione cruda e senza artificio, appassionati e intransigenti sino al midollo.
(21/06/2019)