Gezan

Klue

2020 (Jusangatsu)
art-noise-rock, psych-rock, dub

Diavolo di un Mahito The People! Quando pensi di averne infine intercettato la linea di pensiero, lui è già un passo avanti, pronto a sfoderarti un nuovo cazzotto alle parti basse. E se gli gira, piazzare giù dischi da novanta, poco importa se in veste solista o come leader di una band. Se attraverso il primo abito ha dato sfogo alle sue inclinazioni autoriali, talvolta piegate a un'estetica cullante e ovattata (il progetto NUUAMM, assieme alla regina del folk giapponese Ichiko Aoba), è come esponente dei Gezan che l'idiosincratico interprete e chitarrista dà gli assaggi più appetitosi del suo estro, spiattellato attraverso un approccio fluido ai generi e alla composizione.
“Klue”, disco uscito lo scorso gennaio, è la manifestazione più spiritata, folle, dissacrante di uno stile in costante evoluzione, senz'altro rumorista ma forte di un'eleganza progressiva, che sa farsi tramite di messaggi carichissimi e incorporare qualsiasi elemento desideri, col più spregiudicato impiego della dinamica e del comparto vocale, vero e proprio teatro espressionista. Confusi? Ci vuole ben poco perché tale confusione si traduca in ammirazione.

C'è da restare ammirati di fronte al potere creativo che anima il disco, alla forza motrice che ha spinto la band a superare in soli due anni le torbide fattezze hardcore di “Silence Will Speak” (in compagnia di quell'altro mattacchione di Merzbow) per abbracciare un linguaggio decisamente più totalista, tanto ricolmo di rumore quanto astuto nell'optare per deviazioni dub, inserti atmosferici, stacchetti pop e variazioni progressive, quando l'occasione lo consente. E se è vero che il timbro nasale di Mahito The People potrebbe alienare l'apprezzamento di molti, nondimeno il frontman sa come piegarne il tono e prestarlo a un'imponente cornice teatrale, in cui anche altri contributi vocali, dalla natura quasi metal, danno il via a un dramma ritmico/melodico dal sapore catartico, quasi come se imbastissero un esorcismo per mezzo di fraseggi rituali e selvaggi cambi di umore.
In quest'ottica è quasi bizzarro, considerata la natura profondamente mutevole dei vari brani, osservare come il taglio della batteria sia identico lungo tutto quanto il disco, come l'impronta narcotica fornita da Ishihara Loscal renda ancora più incredibile la versatilità espressiva della band, capace di innestare tale duttilità su un preciso fondamento ritmico.

Momenti preferiti? Inutile anche soltanto pensare di sceglierne, il disco, al netto della suddivisione in singoli brani, va colto nel suo insieme, nel modo in cui riesce ad armonizzare ogni passaggio e rilevarne contrasti e affinità, in un gioco di sottili riferimenti e paralleli. È innegabile, anche a non masticare una parola di giapponese, che il crescendo rabbioso di “Free Refugees”, con tre parole ad aprire un mondo di discussioni, risulterà un punto focale della raccolta, le percussioni spinte al parossismo, forti dei loro richiami ancestrali.
Ad isolarlo però dal crescendo sonoro che ne porta all'attacco si perde molta della sua forza improvvisa, dell'irruenza che si divincola tra spastici teatri vocali (“Extacy” è tutta un programma), sussurri in stato d'allarme (“Kunkoku”), ben più scatenate progressioni rumoriste (“Sukiyoubi”).

Nel prodigioso susseguirsi di alti e bassi, continui andirivieni di umore e momenti di pausa (piazzati con grande accortezza e senso della simmetria), “Klue” offre la più ampia prospettiva su una band dalla solida compattezza tecnica e dalla grande immaginazione, che qui dà finalmente prova di saper incanalare il proprio estro nella lunghezza di un album. Anche a non aver nemmeno lontanamente raggiunto il mainstream (non che sia nei loro obiettivi), i Gezan non hanno bisogno di chissà quale pubblico per incendiare il mondo.

13/05/2020

Tracklist

  1. Klue
  2. Extacy
  3. Replicant
  4. Human Rebellion
  5. Ageha
  6. Soul Material
  7. Kunkoku
  8. Tired Of Love
  9. Sekiyoubi
  10. Free Refugees
  11. Tokyo
  12. Playground
  13. I




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