Esplorare in lungo e in largo il passato, scandagliarne a fondo immaginari ed estetiche e ricavarne le direttrici necessarie a immaginare, quando non costruire, il futuro. Attraversare il mondo dei sogni e la realtà alla ricerca di una nuova spiritualità, di altri sensi della realtà, che possano condurci ad altre percezioni del sé, spesso e volentieri rimaste intrappolate nella frenesia del quotidiano e nelle ferite dell'"anima martirizzata". Cantare il declino di una società in pieno regresso (culturale e non solo), attraverso un complesso prisma di ispirazioni, riferimenti e direttrici tematiche, che nell'iconica figura di Massimo Troisi vedono un punto di snodo e convergenza. Confusione? Nemmeno una traccia, perché Donato Dozzy ed Eva Geist (apprezzata sia in chiave solista che nel bel progetto Le Rose) firmano col progetto Il Quadro di Troisi uno dei più significativi album pop italiani degli ultimi anni, una raccolta di ampio respiro che ripercorre decenni di storia musicale del Belpaese e dona loro nuova freschezza e vigore, individuando un carattere autoriale di assoluto spessore.
Da un lato si ha Eva Geist, l'interprete e l'autrice, l'anima duttile e sofisticata delle canzoni, la guida a un universo lirico dal grande impatto figurativo, che sa tradurre perfettamente il suo complesso parco di riferimenti in quadri dal tocco simbolico/surrealista (personalizzando quindi la lezione di figure di spicco del pop italiano quali Battiato, Alice, Battisti, i Matia Bazar). Dall'altro troviamo Donato Dozzy, l'arrangiatore e il compositore, il fantasista dei sintetizzatori che gestisce con la forza dell'esperienza e il coraggio dello sperimentatore, lasciando che gli anni Ottanta del synth-pop e dell'italo-disco diventino il combustibile di strutture sì in fuga dal dancefloor, ma dense di un senso dell'avventura e una larghezza di vedute che la co-produzione di Pietro Micioni della Twilight (se vi ricordate di Gazebo e di Mike Francis, sapete di chi si parla) e l'impiego di un vasto organico acustico spingono oltre gli steccati strettamente eighties di partenza. Insieme, la sinergia dei due funziona con rara chiarezza, si concretizza in canzoni per cui il pop è materia eterna e allo stesso tempo campo di ricerca, il terreno privilegiato su cui organizzare un linguaggio di apparente minimalismo, ma di strisciante complessità.
Mistica occidentale e tradizione cinese accompagnano le visioni ondeggianti di "Sfere di Qi", su di un concitato pattern sintetico che abbraccia il canto (quasi declamato) di Geist col suadente sincretismo di un Francesco Messina. E così sottili echi berlinesi sciamano evocativi tra le trame di "Non ricordi", con la voce che quasi si fa sospiro, perdendosi in una progressione dai tratti cinematici, che non disdegna affatto i contatti con linee sonore più immediate, come da migliore consuetudine italo-disco. E se "Il giudizio" lascia filtrare con incantevole arguzia accenti chitarristici e sottili tratteggi di basso, che cullano l'arrendevolezza eterea della melodia, "Beata" è l'episodio che più convintamente sintetizza le diverse pulsioni dell'album, una costruzione pop di classe che incrocia più fredde pulsazioni Idm col calore boogie dei Change.
Gioiello in una collezione già preziosa, "Real" è il momento più accecante, brano di eleganza estrema che sa come trarre vantaggio dal suo ricco comparto strumentale traslando gli ariosi commenti di archi e pianoforte a lussuoso inquadramento di un'interiorità finalmente ritrovata, che la lenta (ma inesorabile) progressione dei synth accentua in tutta la sua liberatoria serenità.
Pubblicato presso la Raster, a testimonianza della caratura internazionale di una collaborazione che si spera non si limiti a un brillante one-shot, Il Quadro di Troisi illustra una delle più singolari unioni mai avvenute in Italia, un tributo a una lunga stagione della musica del Belpaese ma ancor di più un modo per fornire nuova vitalità a un sistema troppo facilmente ancorato alla nostalgia. Avercene...
18/11/2020