Massimo Giuntoli è un'artista e agitatore culturale che ha sempre vissuto la sua arte in un ruolo di nicchia, raggiungendo lo status di icona dell'underground italiano con perle misconosciute come l’introvabile “Diabolik e i sette nani” (1982), “Giraffe” (1992), sino ai più recenti “Piano Warps” (2016) e “Hobo” (2019).
Da sempre vicino alla fantasia freak di Frank Zappa, all’ironia nonsense canterburiana, al pianismo del 900 sia esso minimalista, da cabaret o colto come quello degli amati Aaron Copland o Erik Satie, Giuntoli ha sempre assimilato queste influenze per elaborare e creare un suono totalmente personale e difficilmente collocabile in qualsivoglia catalogazione da manuale.
“Tender Buttons”, album di solo piano e voce, è uno di quei lavori che appaiono oggi come un piccolo miracolo per l'eleganza e l’eterogeneità del progetto, perennemente al confine tra accademia e anti-accademia.
Diciotto brani brevi, quando non brevissimi, dove ripetizione, riferimenti classici, sublimi momenti canterburiani, tra Robert Wyatt e i ritmi sbilenchi delle band della seconda generazione di quel movimento, si incrociano in un andirivieni di riferimenti davvero commovente che mostrano un talento innegabile oltre a una cultura musicale onnivora, da ascoltatore compulsivo.
Non è un caso che Giuntoli sottolinei la sua alterità decidendo di utilizzare i testi del libro “Tender Buttons” della scrittrice statunitense Gertrude Stein, paladina del movimento Lgbt e descritta come la poetessa degli "espatriati", citando la critica letteraria Nadia Fusini "capace di stupirsi ogni giorno osservando il mondo, per il fatto che sia un fatto, in fondo, assurdo". Uno stupore fanciullesco, forse proprio come l'animo profondo di Giuntoli.
Tanta ironia associata a tanta conoscenza musicale del 900 non si trova facilmente in giro, si prendano ad esempio brani come “Objects”, “Book”, “Eggs”, dove è semplice sentire tracce di Copland arricchite da melodie sbilenche che Wyatt adorerebbe. Il piano di “Single Fish” viaggia tra jazz, cabaret e minimalismo in un mix davvero unico, dove permane costante il consueto muoversi fuori dall'accademia utilizzandone le medesime basi culturali. Tantissimi sono i rami figli di questi riferimenti tra jazz, melodie quasi pop, canti wyattiani, ripetizione e momenti classici.
Nel finale trova posto il brano più lungo, i cinque minuti di “A Little Called Pauline”, da alcuni punti di vista la “O Caroline” di Giuntoli, con l’aggiunta di poche note, probabilmente di un vibrafono, che rappresentano una sintesi riuscita dell’intero album. Disponibile in cd dal Luglio 2020 con l'aggiunta di una bonus track.
20/06/2020