Concrete and glass, calcestruzzo e vetro. Elementi primari, senz'altro fondamentali per costruire un edificio moderno, in grado non solo di colpire con le sue linee, ma anche di fornire una permanenza piacevole e dotata di ogni comfort. Che è esattamente ciò che si prefigge Godin in questo terzo lavoro in studio, il più prossimo a livello di sound al ventennio di scorribande spaziali con gli Air. In tutto: nei suoni sintetici, nel retrofuturismo che si insinua in apparente assenza di gravità nella struttura delle canzoni, nel mood sottilmente introspettivo e malinconico che permea il tutto a mo' di marchio di fabbrica. Con in aggiunta, osiamo dire, la capacità più unica che rara di stemperare la componente intellettuale in atmosfere pop leggere e assolutamente sostenibili.
Quello di "Concrete And Glass" è dunque un Nicolas Godin al meglio - o quasi - delle possibilità, un architetto di suoni in grado di realizzare spazi ariosi, confortevoli, contraddistinti da colori caldi. Caratteristiche che calzano a pennello a canzoni come "The Foundation" (ispirato al Case Study House #21 di Pier Konig) e ancora più alla gemma "The Border", un brano che rimanda ai migliori album scritti a quattro mani con Jean-Benoit Dunckel. Un leit-motiv del disco è la presenza di featuring, pressoché sempre azzeccati, come nei casi della eterea "We Forgot Love" con Kadhja Bonet alla voce, di "Time Is On My Hands" con l'australiano Kirin J Callinan al microfono e alla chitarra, della sofisticata "Catch Yourself Falling" con Alexis Taylor degli Hot Chip a metterci il timbro.
L'alternativa è fornita dal ricorso al vecchio e caro vocoder ("Concrete And Glass", "What Makes Me Think About You"), un altro degli elementi caratterizzanti di quel french touch che Godin in prima persona ha concorso a plasmare e incastonare nell'immaginario collettivo.
"Cité radieuse" chiude i giochi in stratificazioni sintetiche che si esauriscono nelle venature jazz del sax, come un avamposto proiettato sull'avvenire che non può fare a meno di ritornare sui propri passi. Che è un po' quello che Nicolas Godin da sempre traduce in musica: la tentazione di andare avanti, sempre, senza rinunciare a guardarsi indietro, e attorno. Retrofuturismo per palati fini.
(29/01/2020)