Nicolas Godin

Concrete And Glass

2020 (Because)
elettronica, pop, french touch

Ci ha girato un po' al largo, Nicolas Godin, con due album solisti nei quali sembrava voler divagare rispetto agli interessi principali. Si era cimentato dapprima con le rivisitazioni sulla musica classica in "Contrepoint", poi si era dato in maniera estemporanea alla tradizione francese in "Au service de la France", riuscendo puntualmente nell'obiettivo di divertirsi e divertire. Con "Concrete And Glass", però, sembra che siamo arrivati finalmente al punto cruciale della sua avventura solistica. Se non altro perché non era mai successo, nemmeno nella lunga attività con i suoi Air, che il parigino di Versailles si mettesse a mescolare le due grandi passioni di una vita: la musica, va da sé, e prima ancora l'architettura.

Concrete and glass, calcestruzzo e vetro. Elementi primari, senz'altro fondamentali per costruire un edificio moderno, in grado non solo di colpire con le sue linee, ma anche di fornire una permanenza piacevole e dotata di ogni comfort. Che è esattamente ciò che si prefigge Godin in questo terzo lavoro in studio, il più prossimo a livello di sound al ventennio di scorribande spaziali con gli Air. In tutto: nei suoni sintetici, nel retrofuturismo che si insinua in apparente assenza di gravità nella struttura delle canzoni, nel mood sottilmente introspettivo e malinconico che permea il tutto a mo' di marchio di fabbrica. Con in aggiunta, osiamo dire, la capacità più unica che rara di stemperare la componente intellettuale in atmosfere pop leggere e assolutamente sostenibili.

Quello di "Concrete And Glass" è dunque un Nicolas Godin al meglio - o quasi - delle possibilità, un architetto di suoni in grado di realizzare spazi ariosi, confortevoli, contraddistinti da colori caldi. Caratteristiche che calzano a pennello a canzoni come "The Foundation" (ispirato al Case Study House #21 di Pier Konig) e ancora più alla gemma "The Border", un brano che rimanda ai migliori album scritti a quattro mani con Jean-Benoit Dunckel. Un leit-motiv del disco è la presenza di featuring, pressoché sempre azzeccati, come nei casi della eterea "We Forgot Love" con Kadhja Bonet alla voce, di "Time Is On My Hands" con l'australiano Kirin J Callinan al microfono e alla chitarra, della sofisticata "Catch Yourself Falling" con Alexis Taylor degli Hot Chip a metterci il timbro.
L'alternativa è fornita dal ricorso al vecchio e caro vocoder ("Concrete And Glass", "What Makes Me Think About You"), un altro degli elementi caratterizzanti di quel french touch che Godin in prima persona ha concorso a plasmare e incastonare nell'immaginario collettivo.

"Cité radieuse" chiude i giochi in stratificazioni sintetiche che si esauriscono nelle venature jazz del sax, come un avamposto proiettato sull'avvenire che non può fare a meno di ritornare sui propri passi. Che è un po' quello che Nicolas Godin da sempre traduce in musica: la tentazione di andare avanti, sempre, senza rinunciare a guardarsi indietro, e attorno. Retrofuturismo per palati fini.

29/01/2020

Tracklist

  1. Concrete and Glass
  2. Back To Your Heart
  3. We Forgot Love
  4. What Makes Me Think About You
  5. Time On My Hands
  6. The Foundation
  7. Catch Yourself Falling
  8. The Border
  9. Turn Right, Turn Left
  10. Cité Radieuse




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