L'idea embrionale di “Contrepoint” nasce, stando a quanto riferisce il diretto interessato, nell'ormai lontano 2007: al termine del tour promozionale di “Pocket Symphony”, Nicolas Godin stacca momentaneamente la spina dagli Air e trova rifugio nella musica classica. Johann Sebastian Bach, in particolare, è il grande ispiratore della prima uscita solista del musicista di Versailles che – per uno strano scherzo del destino - giunge soltanto otto anni più tardi, nel ventennale esatto dalle prime prove con il sodale Jean-Benoit Dunckel (il quale, da parte sua, ha intrapreso già dal 2006 una seconda attività musicale parallela al progetto principale).
Più che l'inizio di una carriera in solitaria, però, “Contrepoint” assomiglia a un'esperienza estemporanea o a un esercizio di stile decisamente ambizioso e, a quanto pare, altrettanto laborioso da mettere in pratica: tuffarsi nella musica "colta" e spogliarla di ogni manierismo. Un'esperienza forse fine a se stessa, ma allo stesso tempo quanto di più lontano possa essere concepito rispetto a quelle logiche commerciali cui anche gli Air, talvolta loro malgrado, sono da sempre costretti a sottostare. E questo, forse, è il fine ultimo dell'intera operazione.
Ispirato dunque dalle arie di Bach e dalle magnifiche riletture di Glenn Gould, Nicolas Godin impugna alcune partiture del compositore di Eisenach e le contamina con le più svariate influenze, in un gioco di rimandi e di allontanamenti nei quali chiama in causa non solo l'elettronica e la musica lounge, ma pure il rock, il jazz e persino languori latini. Sonorità che non di rado vanno a convivere e a sovrapporsi all'interno dello stesso brano, come accade in “Orca”, pezzo apripista e introduzione “programmatica” all'opera, meno di due minuti e mezzo di pura fusion in cui ogni elemento (flauto, archi, chitarre elettriche, synth) va a sovrapporsi in quella che non è altro che una fuga barocca in chiave postmoderna.
In “Bach Off”, viceversa, si procede in senso opposto, ovvero sviscerando i diversi stili in fila indiana, suddividendo la traccia di oltre sette minuti in momenti sostanzialmente staccati tra loro e idealmente connessi soltanto da una sfumata impostazione prog.
Se le metriche jazzate e il pianoforte di “Club Nine” sono il vero punto d'incontro con le interpretazioni di Gould, le fluttuazioni oniriche di “Widerstehe doch der Sunde” non possono che ricordare proprio gli Air della prima ora, in particolare quelli della soundtrack di “The Virgin Suicides”: legame rinsaldato dalla collaborazione di Thomas Mars dei Phoenix che, oggi come allora (quando intonava la meravigliosa “Playground Love”), si cela dietro il moniker Gordon Tracks.
Classicismo e scenari spaziali vanno a braccetto nella parabola retrofuturista di “Glenn” (inutile a questo punto sottolineare di chi si stia parlando), mentre l'avamposto esotico è “Clara”, che incrocia la musica leggera e la bossa nova. Non bastasse, arriva a bruciapelo “Quei Due”, velato – si fa per dire – omaggio a Serge Gainsbourg in cui una voce femminile, in lingua italiana, recita un incontro tra un lui e una lei scritto per l'occasione da Alessandro Baricco: operazione spiazzante, certo, ma anche un tantino pretenziosa e gratuita.
Chiude il sipario la trasognante “Elfe Man”, esatto punto d'incontro tra arie morriconiane e leggere sinfonie che sembrano piuttosto strizzare l'occhio alla “Danza delle fate confetto” dello “Schiaccianoci” di Tchaikovsky: che sia lui il prossimo a essere manipolato?
27/09/2015