Il ritorno dei pionieri dell'Electronic Body Music svedese è un colpo duro e diretto che non potrebbe arrivare in tempi più angoscianti e distopici. "Armén" è un grido di dolore e rabbia contro il controllo pervasivo e annichilente imposto dallo stato e dai mass media al suo guinzaglio. In questo senso, il singolo "Only Control" è un manifesto delle preoccupazioni che da sempre accompagnano le visioni di un futuro fosco e senza speranza, propria di molta Ebm e di gran parte dell'electro-industrial old school (Skinny Puppy e Front Line Assembly in primis). Oggi gli scenari orwelliani sono di fatto il nostro presente quotidiano, accettato in nome della sicurezza e di una biopolitica che fa leva sulla paura con l'intento, nemmeno tanto nascosto, d'istaurare dittature simili a quella cinese e nordcoreana. Il trio, formato da Henrik Nordvargr Björkk, Christiaan Riemslag e Jonas Aneheim, scaglia dunque le sue invettive sonore, pronto a far ingrippare il meccanismo che vorrebbe stritolarci nella morsa sociale, politica ed economica di un'emergenza senza fine.
"Armén" esce ora per Alpha Matrix, ma era un lavoro in gestazione da tempo. È il primo vero full-length realizzato dai Pouppée Fabrikk sin dagli anni Novanta, dato che "The Dirt", uscito nel 2013, presentava molte tracce inizialmente scritte tra il 1988 e il 1990, in seguito modificate e riregistrate per l'occasione. Se "The Dirt" suonava come una specie di antologia fatta di frammenti perduti e ritrovati, "Armén" sembra ricominciare da quel suono abrasivo e analogico che ha reso famosa la band svedese. L'album esce in digitale, cd, in cd-box (con tanto di toppa e spilla in metallo in allegato) e in edizione limitata in vinile per Alfa Matrix.
Oltre alla già citata "Only Control", uno dei brani più adrenalinici e diretti mai realizzati dai Pouppée Fabrikk, spicca da subito la perversa carica meccanica di "Blessings" e la dichiarazione d'intenti rappresentata da "I Am Here To Stay". Due brani che ci riportano ai tempi del primo album "Rage", uscito nel lontano 1990. Su tutto svetta la voce di un furioso e gigantesco Björkk, imponente vichingo della musica post-industriale, responsabile di MZ.412, Folkstorm, Toroidh e molti altri progetti seminali, impossibili da elencare tutti in questa sede.
"Knifeuser" monta la sua rabbia tra rumore industriale e slanci alla Nitzer Ebb, mentre "Burn Forever" schiaccia l'acceleratore con beat che precipitano come macigni sull'ascoltatore. Quest'ultima traccia vede la partecipazione di Jouni Ollila (anch'esso negli MZ.412) alla programmazione delle linee di basso.
La seconda parte si apre con le derive electro di "A Line In The Sand", un attimo di calma sofferta prima che i Bpm risalgano veloci con il tritacarne industrial/technoide di "Tripshitter" (nel finale emergono sonorità alla Front 242, periodo di "Tyranny >For You<"). "Kom Ta Min Smärta" (in svedese "vieni a prendere il mio dolore") alza il tiro con uno dei migliori brani del lotto, urlato nella propria lingua madre. Chiude il tutto l'assalto al fulmicotone di "Say Goodbye" e "Kick It", due tracce che non fanno prigionieri, su cui scatenarsi con uno stomping selvaggio e liberatorio.
È un brutto momento per certe sonorità. Da poco è venuto a mancare, oltre al padre della musica industrial, Genesis P-Orridge, anche Gabi Delgado dei Deutsch Amerikanische Freundschaft, alfiere di una körpermusik che dalla fucina della Neue Deutsche Welle ha dato origine proprio all'Ebm, genere di cui gli svedesi sono indiscussi portabandiera. Nonostante tutto, i Pouppée Fabrikk, per citare il titolo di un loro brano, sono qui per restare sino all'ultimo, portando avanti le istanze di un corpo il cui spirito libero e fiero non si piegherà mai al controllo sociale.
11/04/2020