Deutsch-Amerikanische Freundschaft

Der Mussolini


Grasso, martellante, distopico: se c’è un timbro sintetico che, quanto ad aggressività, tiene testa anche alla più massiccia delle chitarre, quello è senz’altro il muscolare arpeggiatore di “Der Mussolini”. Una marcia d’assalto, un pistone impazzito, una colata di morchia, la danza di un androide: difficile non associargli un’immagine violenta. Sembra di essere presi a cinghiate in un bunker durante un bombardamento, condannati sia fuori che dentro. E’ tutta punk la cattiveria e tutta giovanile la Volontà di Potenza, ma è soprattutto l’esito di una liberazione catartica: le velleità industrial-costruttiviste dei primi due album si sciolgono in questa isteria danzereccia come acciaio in una fornace. “Alles Ist Gut” rappresenta, a partire dall’autoironico titolo, il riflusso dopo la militanza, l’edonismo dopo l’impegno, la fisicità dopo l’astrazione, il tutto portato a un livello di ossessività così insostenibile da triplicare il tasso di nichilismo, azzerando in un colpo solo il conflitto tra chiodo e dancefloor.

Per tre minuti e cinquanta secondi non si cede di un millimetro. Voce, synth, batteria e null’altro, quasi a intonare il sepolcrale, definitivo requiem meccanico del classic rock: musica spoglia come un corpo nudo e madido, in quella torbida terra di nessuno tra l’iper-tecnologia e l’ultra-primitivismo. E’ una foga inespressiva, dove sarà il ballo semmai a pittare la tela: robotico eppure scoordinato, un agitarsi spastico in cui a ogni passo ci si rompe qualche osso. Sta tutto in quella precaria oscillazione armonica, che pare sempre lì lì per disfarsi: Robert Görl detestava la “pulizia” dei gruppi synth-pop e per tutta risposta si vantava di non accordare mai il suo bestione elettronico, ottenendo un suono turgido e potentissimo. Quella pressa torva e opprimente rimarrà tra i grandi status symbol degli 80 apocalittici, la colonna sonora di un videogioco in cui si può solo perdere, contraltare del minaccioso declamare di Gabi Delgado-López.

Se l’influenza di Kraftwerk e Suicide è ancora trasparente, l’approdo è del tutto nuovo e ancora oggi destabilizzante: solo gli Screamers hanno azzardato una musica per sintetizzatore così possente e arrembante. Electronic-Body-Music: non potevano appiccicarsi un’etichetta più azzeccata, non a caso trasformatisi in un genere a sé stante. Una musica “pensata per essere tedesca” e ostentatamente teutonica nella sua metronomica disumanità (scandita, tuttavia, dalla voce di uno spagnolo: una delle tante contraddizioni su cui il duo di Düsseldorf amava giocare), ma che finirà con l’influenzare I’odiatissima musica da ballo anglo-americana, soprattutto quella nera. Il battistrada per la techno è segnato, se non già abbondantemente superato.

Poi, certo, ci sarebbero anche quel titolo e quel testo. Quasi marginali, a fronte di tanta espressività musicale, ma determinanti per farne un successo allora e un cult oggi. Sarebbe tuttavia inappropriato dissolverli nel cliché della fascinazione destrorsa: la loro è una profanazione sistematica di qualsiasi tabù, un’ambiguità affilata come un rasoio, morbosamente attratta da tutto quanto profumi di estremo. Sarà un caso che l’acronimo DAF possa leggersi non solo come Deutsch-Amerikanische Freundschaft ma anche come Donatien-Alphonse-François (de Sade)? Inutile, d’altro canto, sottolineare che quella parossistica, Genet-iana esaltazione della forza fisica appaia più omoerotica che fascistoide, e quelle divise scure rimandino a un immaginario sadomaso/feticista piuttosto che militare. Una sessualità brutale che, paradossalmente, finisce con il delineare una sensualità tragica, il fiore di una gioventù sospesa tra il godimento assoluto e il sacrificio totale, con ardore da prima linea e slancio vitale dall’inevitabile risvolto mortifero.

Mai un brano dal contenuto tanto controverso era salito così in alto in classifica, finendo per imperversare nelle discoteche di tutto il mondo. Oggi sarebbe impensabile, forse lo era anche all’epoca. Il punto è che qua c’è poco da pensare e molto da ballare, fino all’ultima stilla di sudore, al ritmo implacabile di un Potere in cui annullarsi con depravato piacere.

Geht in die Knie
Und Klatscht in die Hände
Beweg deine Höften
Und tanz den Mussolini
Tanz den Mussolini
Tanz den Mussolini

Dreh dich nach rechts
Und klatsch in die Hände
Und mach den Adolf Hitler
Tanz den Adolf Hitler
Tanz den Adolf Hitler
Tanz den Adolf Hitler

Und jetzt den Mussolini
Beweg deinen Hintern
Beweg deinen Hintern
Klatscht in die Hände
Tanz den Jesus Christus
Tanz den Jesus Christus
Tanz den Jesus Christus

Geh in die Knie
Und dreh dich Nach rechts
Und dreh dich nach links
Klatsch in die Hände
Und tanzt den Adolf Hitler
Und tanzt den Mussolini
Und jetzt den Jesus Christus
Und jetzt den Jesus Christus
Und jetzt den Jesus Christus

Klatscht in die Hände
Und tanz den Kommunismus
Und jetzt den Mussolini
Und jetz Nach rechts
Und jetz nach links

Und tanz den Adolf Hitler
Und tanz den Adolf Hitler
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Mussolini

Tanz den Jesus Christus
Beweg deinen Hintern
Und wackel mit den Höften
Klatsch in die Hände
Und tanz den Jesus Christus
Und tanz den Jesus Christus
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Adolf Hitler
Geb mir deine Hand
Geb mir deine Hand

Und tanz den Mussolini
Tanz den Kommunismus
Tanz den Kommunismus
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Adolf Hitler
Und jetzt den Adolf Hitler
Und jetzt den Jesus Christus
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Kommunismus
Und jetzt den Adolf Hitler
Und jetzt den Mussolini
Und jetzt den Mussolini
Tu den Mussolini
Tanzen wir den Hitler
Tanzen wir den Hitler
Und gehn in die Knie
Beweg deine Höften
Klatsch in die Hände
Und tanz den Jesus Christus

Discografia

Autore: Deutsch-Amerikanische Freundschaft
Produttore: Konrad "Conny" Plank
Etichetta: Virgin
Pubblicazione: 1981
Durata: 3:50

Musicisti:
Gabriel "Gabi" Delgado-López: voce
Robert Görl: sintetizzatore, batteria

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