Debutto discografico per i Working Men’s Club, band capitanata dal diciottenne Sydney Minsky-Sargeant e proveniente dalla desolata Todmorden, paesotto situato nel West Yorkshire inglese. Il doppio singolo formato da “Bad Blood/Suburban Heights”, pubblicato nel corso del 2019, lanciò il sasso, creando forti aspettative grazie a un energico e sfrontato post-punk di chiaro stampo Talking Heads. La contemporanea presenza di curiose sfumature dance-punk, in perfetto stile Parquet Courts, lasciava già intravedere accenni di quanto l’immediato futuro avrebbe previsto.
Nel lasso temporale che ha portato alla pubblicazione del presente Lp sono sorte grandi tensioni relazionali, che hanno causato inesorabili mutazioni all’interno della band.
Oltre al talentuoso Minsky-Sargeant (musiche, testi, chitarre, synth, drum-machine e voce solista) i WMC sono ora composti da Rob Graham (ex-Wet Nuns e Drenge, alle chitarre e synth), Mairead O’Connor (ex-The Darjeelings e The Moonlandingz, alle chitarre, tastiere e voce) e dal fedelissimo Liam Ogburn (basso), unico superstite rispetto alla line-up originaria.
La prima sensazione che suscita questo titolo omonimo è il discostamento dalla rotta intrapresa negli aspri brani d’esordio, in luogo di una nuova direzione, che mischia barlumi di post-punk affogati, in modo provocante e brillante, all’interno di ritmi elettronici e indie-dance che riportano alla memoria gli indimenticabili e indimenticati Late Of The Pier.
Il kickdrum elettronico della traccia d’apertura “Valleys”, dedicata alla depressione di una giovinezza vissuta in lande lontane da luoghi di svago, esplode con magnetica e tentacolare ferocia, ponendo immediatamente in chiaro che le chitarre sono messe in disparte e le angolosità wave sono acqua passata: ora i Working Men's Club vogliono mostrare qualcosa di più. Gli ultimi due minuti del brano sono la conferma più evidente di quanto i WMC si siano collocati il più lontano possibile da qualsiasi generica band indie, con linee di synth acide che ribollono sotto caleidoscopici arpeggi e brillanti pugnalate alle tastiere.
Per la stesura dei brani, Minsky-Sargeant ha perfezionato un lavoro maturo e molto rigoroso, grazie all’importante contributo del produttore Ross Orton (Arctic Monkeys, The Fall, Jarvis Cocker), avvicinandosi alla maggior parte del progetto come vero e proprio deus ex machina. La dilagante “A.A.A.A.” è una staffilata rozza e abrasiva, dove Minsky-Sargeant distilla versi d’inutilità e abbandono interiore in un vero e proprio urlo primordiale. “Be My Guest” esplora il disprezzo per la vita attraverso un synth-rock pulsante, eretto su un tonante sottofondo industrial in chiaro stile Nine Inch Nails, mentre l’urgente elettro-rock di “Cook A Coffee” parte con passo sornione per poi esplodere in una forsennata conclusione guidata da frenetiche frequenze synth e dal basso vibrante di Liam Ogburn. Sono proprio questi repentini cambiamenti di direzione, congiunti a numerosi elementi di sperimentazione, che premiano l’inusuale crossover.
Ma anche quando il percorso si sposta verso proposte più tradizionali la qualità non decresce. Il blip ripetitivo di “John Cooper Clarke” cavalca una compatta struttura in 4/4, grazie a linee di basso e chitarra che si mescolano alla perfezione. Allo stesso modo, “Tomorrow” è una trama che si accende sul vivace ibrido tra Kraftwerk e Human League e “Teeth” sbuca come un vero e proprio inno martellante, proveniente dall’appannata finestra di un rave party in fabbrica.
Il singolo estratto come vessillo è “White Rooms & People”, a parere di chi scrive il miglior passaggio dell'album, con sonorità molto vicine ad artisti del calibro di The Sunshine Underground e The KBC , maestri nel confezionamento di una hit da indie dancefloor. Il post-punk psichedelico di “Angel”, con i suoi dodici minuti di dirompente e incessante flusso, chiude questo debutto nel migliore dei modi.
Per i tanti appassionati che hanno atteso con impazienza i Working Men's Club quest’album risulterà una spiazzante ma deliziosa sorpresa. Le origini indie-rock non hanno limitato la scrittura delle nuove canzoni, ma sono servite come fondamenta per costruire qualcosa di molto più sperimentale e ambizioso. Per un autore ancora così giovane, come Minsky-Sargeant, riuscire a fondere e amalgamare la moltitudine d'idee esibite senza che il lavoro finale ne risentisse, non era affatto scontato. Una conferma delle sue indubbie qualità, in un disco a dir poco promettente.
11/10/2020